Accanto alla giurisdizione dell’imperatore si sviluppò una giurisdizione ordinaria dei funzionari imperiali, che doveva spogliare le corti permanenti delle loro residue attribuzioni.

Sul finire del II secolo, a Roma e nel raggio di 100 miglia da Roma la giurisdizione era esercitata dal praefectus urbi. La competenza criminale di questo ufficiale, scelto dall’imperatore fra i più elevati in grado dei senatori, traeva origine dalle sue attribuzioni di polizia nella capitale. Nominato dapprima saltuariamente, era divenuto un funzionario stabile preposto al mantenimento dell’ordine pubblico a Roma. Godeva di ampi poteri di coercizione e gli era affidato il comando di una forza militare permanente di 3, poi 4, coorti urbane di 1000 uomini ciascuna.

Col tempo, il tribunale prefettizio fu investito della repressione di un numero sempre maggiore di reati, anteriormente perseguiti attraverso la procedura ordinaria. Le corti permanenti vennero in tal modo private di ogni effettiva funzione. Nell’età dei Severi, il processo delle quaestiones è ormai definitivamente tramontato, e dei delitti originariamente repressi dalle leges iudiciorum si usa conoscere extra ordinem. Le giurie non esistono più, e sono i rappresentanti del principe che hanno per intero nelle loro mani l’esercizio della funzione repressiva.

Limitati poteri di giurisdizione criminale nell’ambito cittadino erano attribuiti anche al praefectus vigilum. Egli era il comandante delle sette coorti di vigiles, forte ciascuna di 1000 uomini, distaccate nelle 14 regioni in cui Augusto aveva diviso la città, con compiti di prevenzione e spegnimento degli incendi e di polizia notturna. La sua giurisdizione era subordinata a quella del prefetto urbano.

Il praefectus annonae, preposto ai rifornimenti alimentari della capitale, esercitava una giurisdizione criminale extra ordinem nelle materie attinenti al suo ufficio. I suoi interventi repressivi si indirizzavano non solo contro violatori della lex Iulia de annona ma anche contro coloro che non ottemperavano alle disposizioni imperiali in materia di vettovagliamento pubblico.

Oltre le 100 miglia da Roma, la giurisdizione penale in Italia era esercitata dal prefetto del pretorio. Le originarie attribuzioni di questo funzionario erano di carattere militare, consistendo nel comando delle 9, poi 10, corti pretorie di 1000 uomini ciascuna, che formavano la guardia imperiale. Gli fu inoltre attribuito il comando di tutte le truppe di stanza in Italia ad esclusione delle corti urbane e della seconda legione Partica, insediata nei pressi della capitale.

Il prefetto del pretorio acquistò un influenza e un’importanza politica sempre maggiore, tanto che riuscì ad assumere una posizione di rilievo nel campo dell’amministrazione civile e della cognitio, fino a diventare un vero e proprio alter ego dell’imperatore. Fu inoltre investito del compito di giudicare in grado d’appello, in luogo dell’imperatore, le cause criminali provenienti da tutte le parti dell’impero. La sentenza, emessa in rappresentanza principe, era inappellabile.

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