All’inizio del principato i poteri repressivi dei governatori provinciali variavano a seconda che l’illecito fosse stato commesso da un pellegrino o da una cittadino romano: ciò sia nelle province imperiali che in quelle senatorie.

Quando si trattava di reati commessi da persone non cittadine romane, i governatori non erano limitati nell’esercizio dei loro poteri di repressione penale. Quando invece si trattava di reati commessi da cittadini romani e punibili con pena capitale, i governatori erano limitati nei loro poteri di repressione penale dalle guarentigie riconosciute ai cittadini, e quindi, ove ne fossero stati richiesti, erano tenuti ad inviare l’accusato a Roma per il giudizio.

Detto regime venne modificandosi profondamente durante l’impero. Già nei primi tempi del principato gli imperatori erano soliti delegare il ius gladii, cioè l’altra giurisdizione capitale ad essi spettante sui cittadini, a taluni governatori di province imperiali preposti a capo di un esercito, i quali acquisivano il diritto di condannare a morte un soldato, cittadino romano, senza che questi potesse far ricorso alla provocatio. I cittadini furono così privati dell’antica guarentigia della provocatio. Essi potevano naturalmente far ricorso al principe mediante l’esercizio dell’appello, ma si trattava di un rimedio meno sicuro.

I poteri dei funzionari del principe erano assai ampi. Essi potevano rifiutarsi di ricevere gli appelli interposti al solo scopo di procrastinare l’esecuzione della sentenza e quelli che avevano ad oggetto decisioni fondate sulla confessione del reo. Potevano poi non ammettere le impugnazioni proposte da quei condannati che per motivi di pubblica sicurezza dovevano essere puniti immediatamente, come i suscitatori di sommosse. Erano infine autorizzati a non ricevere gli appelli che per l’infondatezza dei motivi addotti non avevano possibilità di essere accolti in sede superiore.

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