L’articolazione regionale della programmazione

La Regione è l’interlocutore necessario per la pianificazione soprattutto dal punto di vista della realizzazione dei fini sociali e della verifica della loro attuazione. Da un punto di vista storico, il processo di espansione delle autonomie locali a partire dagli anni ’20 venne limitato sia a causa del centralismo fascista, sia per l’espansione degli enti pubblici. Nel secondo dopoguerra l’area dei comuni oltre ai servizi di utilità generale avevano come ambito di autonomia la gestione diretta dei pubblici servizi, tuttavia questa situazione creò degli squilibri per cui già dagli anni ’70 vennero introdotte misure per scoraggiare le municipalizzazioni. Ora le strutture organizzative riguardano la gestione diretta, le aziende municipalizzate e le concessioni, queste ultime in netta crescita.

Cenni sulla riforma del modello centrista. Il decentramento

Il modello centralista subì un colpo notevole con l’art.114 della Costituzione che istituì le Regioni, le Province ed i Comuni, ma erano previsti dei controlli sui loro atti ed attività ed erano previsti poteri esclusivi dello Stato in determinate materie per garantire l’unità. Si è dunque fatto strada il decentramento, che consiste nell’adeguamento della disciplina normativa agli interessi locali e nella traslazione della competenza a provvedere con una conoscenza diretta degli interessi da soddisfare. Il decentramento può essere politico-costituzionale, con la conseguente cessione di poteri alle autonomie locali (si utilizza la legge costituzionale) e anche amministrativo, con cessione di funzioni (quest’ultimo a sua volta si divide in burocratico, gestionale ed autarchico). L’inconveniente da evitare è quello di far prevalere gli interessi locali su quelli generali.

La modifica del titolo V della Costituzione, la legge n. 3/2001

Dopo infruttuosi tentativi di commissioni parlamentari di riforma e fallito il progetto della bicamerale che prevedeva la riforma dell’intera parte seconda della Costituzione, nel 2001 fu emanata la legge costituzionale n° 3, che conteneva quattro elementi di rilievo:

1) Nuovo assetto delle funzioni

  1. Rapporto tra legislazione esclusiva e concorrente. Nella legislazione concorrente lo Stato fissa i principi fondamentali e tutto il resto della legislazione spetta alle Regioni.
  2. Nuovo criterio formale dell’art.117. Prima era espresso l’elenco delle competenze regionali e residuale quello delle competenze statali, ora opera il criterio inverso.
  3. Le regioni hanno potestà legislativa primaria, limitata solo dalla Costituzione, dal diritto comunitario e dagli obblighi internazionali e NON dalla legge dello Stato.

2) Regionalismo differenziato ed asimmetrico. Ciascuna Regione ha la possibilità di negoziare forme e condizioni particolari di autonomia a vantaggio delle Regioni di diritto comune per le materie a potestà ripartita e solo alcune di potestà esclusiva statale.

3) Funzioni amministrative. Prima vigeva il parallelismo delle funzioni (le stesse delle 18 materie oggetto della legislazione concorrente) e le Regioni svolgevano le loro funzioni delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici e nelle materie concorrenti la legge dello Stato attribuiva direttamente agli enti locali funzioni di interesse esclusivamente locale. Ora invece l’art.118 prevede che le funzioni siano attribuite ai Comuni salvo che per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

4) Autonomia fiscale e finanziaria. Le risorse di cui si servono le Regioni sono i tributi e le entrate proprie, quote del gettito di tributi erariali, trasferimenti statali a carico del fondo perequativo. Il principio vigente è che il conferimento delle funzioni deve essere sempre accompagnato dal trasferimento di risorse necessarie per esercitarle. Inoltre vige il principio dell’equilibrio di bilancio per la parte corrente, ed è ammesso solo un piccolo disavanzo per gli investimenti.

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