Il codice accoglie la regola generale per la quale il testimone ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte nel corso dell’esame (art. 198 co. 1). In alcuni casi, tuttavia, può accadere che le parti, durante l’esame incrociato, formulino delle domande che potrebbero indurre il testimone ad autoincolparsi di qualche reato. Dato che una situazione di questo tipo non sarebbe compatibile con la Costituzione (nemo tenetur se detegere), il codice attribuisce un privilegio al testimone, disponendo che esso non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale (non civile o amministrativa) (co. 2).

L’art. 198 co. 2 stabilisce un divieto probatorio che ha come destinatario il giudice: quando il testimone rifiuta di rispondere ad una domanda autoincriminante, infatti, il giudice non può costringerlo a parlare. Qualora lo faccia e successivamente si riconosca l’esistenza del privilegio contro l’autoincriminazione, le dichiarazione eventualmente rese sono inutilizzabili (art. 191 co. 1). In sintesi, la procedura che si segue risulta essere la seguente:

  • il testimone rifiuta di rispondere, opponendo il privilegio ex art. 198 co. 2 e dando un’apposita giustificazione;
  • il giudice valuta le giustificazioni addotte e, se le ritiene infondate, può rinnovare al testimone l’obbligo di dire la verità;
  • il testimone può persistere nel rifiuto, sebbene rischi che gli sia contestato il delitto di falsa testimonianza (reticenza). Tale delitto, tuttavia, non sussiste quando il testimone non avrebbe potuto essere obbligato a rispondere (art. 384 co. 2 c.p.).

Dato che l’art. 198 co. 2 stabilisce un divieto rivolto al giudice, di fronte ad una domanda autoincriminante il testimone è libero di decidere se eccepire o meno il privilegio. Qualora il si risolva liberamente a rendere dichiarazioni contro se stesso, tuttavia, il codice appresta un’apposita regolamentazione. In particolare trova applicazione l’art. 63 co. 1 (dichiarazioni indizianti), in forza del quale, una volta che il testimone abbia reso una dichiarazione dalla quale emergano indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente deve:

  • interrompere l’esame;
  • avvertire il soggetto che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti ;
  • invitare il soggetto a nominare un difensore.

Quanto al valore probatorio delle precedenti dichiarazioni, il codice prevede una inutilizzabilità soggettivamente relativa: tali dichiarazioni, infatti, non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese.

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