La crisi di cooperazione dei consociati può riguardare obblighi consistenti nell’emanazione di una dichiarazione di volontà sorti da contratto o direttamente dalla legge (es. obbligo di stipulare il contratto definitivo sorto dal contratto preliminare). La particolarità di tale ipotesi è data dall’essere alla presenza di un facere che non consiste nel compimento di un’opera materiale. In caso di violazione di un obbligo di questo tipo, quindi, il processo non potrebbe mai dare tutto quello e proprio quello cui il titolare avrebbe diritto.

A differenza della violazione degli obblighi di non fare, peraltro, l’obbligo sorto dalla violazione di un obbligo avente ad oggetto un facere giuridico è il solo obbligo al risarcimento del danno. Lo scarto tra utilità garantite dal diritto sostanziale e utilità che il processo riesce ad assicurare, quindi, sarebbe di particolare gravità se l’ordinamento non conoscesse forme di tutela diverse dalla condanna correlata all’esecuzione forzata. Il nostro ordinamento, tuttavia, conosce tecniche idonee a superare tale scarto:

  • garantire l’esecuzione della condanna ad un facere giuridico non attraverso l’esecuzione forzata (impraticabile), ma attraverso misure coercitive;
  • ricollegare direttamente all’accertamento compiuto dal giudice la modificazione giuridica che normalmente sarebbe dovuta conseguire all’adempimento spontaneo dell’obbligo di emanare la dichiarazione di volontà. Attraverso una tecnica di questo tipo il processo di cognizione è chiamato ad assolvere ad un tempo funzione cognitiva (accertamento dell’obbligo) ed esecutiva (attribuzione del diritto).
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