Occorre a questo punto tornare sulle singole fattispecie passate in rassegna, per analizzare quali di esse creano problemi nel confronto col modello camerale:

  • la prima ipotesi (autorizzazioni) non pone nessun tipo di problema, perché qualsiasi tipo di procedimento individuato dal legislatore porta ad un provvedimento destinato ad entrare nella fattispecie negoziale sotto forma di autorizzazione. In queste ipotesi si tratta di far dare un suggello da parte di un soggetto super partes (potrebbe astrattamente anche non essere un giudice) ad un qualcosa che entra a far parte della fattispecie negoziale. Siamo in un settore di giurisdizione non necessaria (volontaria), fuori dalla sfera di applicazione dell’art. 24;
  • seconda ipotesi (revoca): sebbene anche in questa ipotesi, come nella precedente, si gestisca l’interesse di un soggetto, tale gestione impatta sul diritto soggettivo altrui. Occorre quindi chiedersi quale sia la sede nella quale il diritto soggettivo che è stato inciso dal provvedimento reso in sede camerale possa trovare comunque tutela. L’art. 742 ci dice che non è il giudice del processo a cognizione piena l’organo deputato a privare di effetti il provvedimento camerale. Esso può soltanto riconoscere al soggetto sul cui diritto soggettivo si è inciso l’equivalente in denaro di ciò che ha perso;
  • la terza ipotesi porta alle massime conseguenze le problematiche di cui alla seconda ipotesi, dal momento che in questo caso il rito camerale viene adottato specificatamente per la risoluzione di controversie su diritti soggettivi. Sebbene la scelta del legislatore di utilizzare il procedimento camerale non sia una scelta neutra, quindi, il legislatore lo utilizza indifferentemente, senza distinguere a seconda che si abbia una gestione di interessi che diventi elemento della fattispecie negoziale, una gestione di interessi che incide su diritti soggettivi o una decisione su diritti soggettivi.
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