Il giudizio di rilevanza di una prova (art. 184) viene svolto dal giudice prima dell’assunzione della prova stessa. La rilevanza di una prova, in particolare, rappresenta la sua idoneità a provare fatti principali o secondari controversi, salvi i casi di non operatività della non contestazione. Il giudizio di rilevanza ha come punto di riferimento l’individuazione e l’interpretazione della fattispecie legale astratta sotto cui sussumere il diritto fatto valere in giudizio. Tale giudizio, quindi, presenta un carattere decisorio intrinseco: il giudice è chiamato ad anticipare in un provvedimento di ordinanza, come tale inidoneo a pregiudicare la decisione della causa, l’attività logico-deduttiva di individuazione ed interpretazione della norma da espletarsi poi al momento della decisione. In caso di assunzione di un mezzo di prova relativo ad un fatto secondario, il giudice deve anticipare non solo la soluzione della quaestio iuris, ma anche il giudizio di idoneità di tale fatto a costituire la base per la deduzione del fatto principale ignoto:

  • nel giudizio di rilevanza relativo ad un fatto principale, il giudice non deve anticipare l’attività logico-deduttiva sulla cui base valutare l’idoneità del mezzo di prova assunto a provare il fatto principale;
  • nel giudizio di rilevanza relativo ad un fatto secondario, il giudice deve anticipare l’attività logico-deduttiva per valutare se il fatto secondario sia idoneo a costituire la base di deduzione del fatto principale ignoto.

Occorre a questo punto precisare il significato di alcuni fatti:

  • fatti inverosimili: fatti bisognosi di una prova particolarmente puntuale;
  • fatti impossibili: fatti per i quale non risulta necessaria una prova;
  • fatti provati: fatti che non hanno bisogno di prova ex art. 209, in forza del quale il giudice dichiara chiusa l’istruzione quanto ravvisa superflua, per i risultati già raggiunti, l’ulteriore assunzione.
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