Il reato può assumere aspetti particolari, che, pur se non essenziali per la sua esistenza, danno comunque luogo a conseguenze giuridiche diverse. Tali modi di atteggiarsi del reato vengo trattati in quel capitolo della Teoria generale chiamato forme di manifestazione del reato , nel cui ambito sono comunemente comprese le eterogenee ipotesi:

a) reato circostanziato.

b) delitto tentato.

c) concorso di reati.

d) concorso di persone nel reato.

Come risulta dall’etimologia (circum stare), le circostanze sono elementi accidentali del reato, e quindi non sono necessari per la sua esistenza, sebbene incidano sulla sua gravità o rilevino come indici della capacità a delinquere del soggetto, comportando una modificazione, quantitativa e qualitativa, della pena. La loro presenza, quindi, trasforma il reato semplice in reato circostanziato, aggravato o attenuato.

Le circostanze, comunque, si distinguono in:

  • circostanze proprie (circostanze in senso tecnico), che comportano una variazione della pena stabilita per il reato semplice, la quale può essere qualitativa, quantitativa o extraedittale.
  • circostanze improprie, ossia coefficienti che servono per la commisurazione giudiziale della pena interdittale e che orientano, verso il minimo o il massimo edittali, a seconda del valore da essi assunto in concreto.

La funzione delle circostanze va ravvisata in quella continua duplice aspirazione del diritto penale:

  • a rendere più aderente possibile la valutazione legale e a meglio adeguare la pena al reale disvalore dei fatti concreti.
  • a circoscrivere la discrezionalità del giudice nella determinazione della pena.

Anche in materia di circostanze, tuttavia, si ripropone il costante problema di conciliare la legalità con la migliore valutazione del fatto, ossia con la giustizia del caso concreto. In nostro diritto positivo, in particolare, non segue gli opposti estremi della rigorosa tassatività, non idonea ad assicurare il miglior adeguamento della pena al caso, e della piena discrezionalità del giudice (arbitrium iudicis). Al contrario, esso resta fondamentalmente ancorato al duplice principio:

  • della tassatività delle circostanze. Tale principio di tassatività, comunque, subisce taluni temperamenti: accanto ad un vasto sistema di circostanze definite (o tipiche), espressamente individuate dalla legge nei loro specifici elementi costitutivi, sono previste anche circostanze indefinite (o innominate), la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del giudice.

Circa il problema della costituzionalità di queste ultime rispetto al principio di tassatività, non sono facilmente conciliabili con esso le aggravanti indefinite, mentre sono fondamentalmente compatibili le attenuanti indefinite, sia perché quel tanto di incertezza, in esse insito, è il risvolto dell’esigenza costituzionale di individualizzazione della responsabilità e di giustizia del caso concreto, sia perché tale incertezza resta contenuta dal fatto che la discrezionalità del giudice non può traviare lo scopo per cui è accordata.

  • dell’obbligatorietà della loro applicazione. Tale principio di obbligatorietà, in particolare, enunciato nell’art. 59 co. 1, vale per ogni tipo di circostanza, sia definita che indefinita.

Dato che detto principio, assieme a quello di tassatività, è in funzione della certezza giuridica contro l’arbitrio del giudice, debbono considerarsi incostituzionali le circostanze, anche attenuanti, cosiddett a discrezionalità bifasica (o facoltativa), quelle cioè che rimettono al giudice la duplice facoltà non solo di ricercare i valore concreti non tipizzabili, ma altresì di non applicare le circostanze una volte individuate.

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