Attribuire i 3 attributi sopra visti impernia dato alla condotta colposa e come visto postula la rappresentabilità e la prevenibilità dell’evento lesivo; accanto a ciò è però imposta al determinazione della misura alla cui stregua è affermata la possibilità di comportamenti mai verificatisi. Se si affermasse che questa misura è offerta dallo stesso soggetto agente (si qualificherebbe come colpa la condotta di chi non avrebbe potuto prevedere l’evento anche se con la dovuta diligenza) significa svuotare la rappresentabilità e la prevenibilità della loro funzione di criteri individuatori del carattere colposo dell’azione. La prevenibilità non può poi esser asserita con riguardo all’agente nella esatta situazione in cui questi si è trovato: questo concetto di possibilità di un evento passato sarebbe anche grottesco. Non vale sostituire all’agente di fatto un terzo operante nelle stesse condizioni che avevano accompagnato la condotta del primo: infatti in questo modo si configura solo un doppione inutile dell’agente, risultando che anche qui il principio di causalità costringe a concludere che ciò che non è stato rappresentato/evitato, non poteva esserlo. C’è poi il cosiddetto criterio della “prognosi postuma”: sarebbe rappresentabile/evitabile ciò che, rispetto all’agente, appariva tale al momento dell’azione prescindendo quindi dalle condizioni la cui incidenza è posta in luce dall’intero processo causale in tutto il suo decorso. Anche ciò però non può esser accettato: applicando questo criterio rigorosamente infatti, si arriverebbe a negare la colpa in una condotta tenuta in circostanze tali da escludere, prima che la condotta fosse intrapresa, la rappresentabilità, da parte dell’agente, di un risultato vietato dal diritto. Per tutte queste ragioni una misura solo soggettiva non si può adottare.

Occorrerà allora tener conto delle conoscenze possedute dal soggetto, ma anche di quelle conoscenze che era legittimo presumere in lui data la posizione sociale e l’attività svolta, prescindendo da quegli stati o condizioni personali che han impedito il processo di rappresentazione. Ora il giudizio con cui si accerta la rappresentabilità di un evento non fa colposo un certo comportamento, se l’evento stesso non risulti essere uno di quelli che vanno evitati con l’astensione dall’azione (o da certe modalità d’azione) o adottando certi criteri. (esempio: sinistro causato da menomato delle proprie capacità e ciò non è avvertito dall’agente. non c’è colpa per il soggetto).

Ora se la rappresentabilità dei fatti dannosi comporta (se il fatto è evitabile) il carattere colposo, ne conseguirebbe che il campo delle offese addebitate perchè riconoscibili (e impedibili) sarebbe troppo vasto per esser equo. Ci sono allora attività che comportano pericoli più evidenti e per queste si parla di “rischio consentito”: in questo caso si integra il criterio della rappresentabilità con l’asserto che può dar luogo a colpa solo quella condotta la realizzazione di cui vada oltre i limiti dell’adeguatezza sociale. Questo tentativo di integrare così la teoria della rappresentabilità non è convincente: non risultano precisati i limiti del rischio consentito. Si è poi anche osservato che le fattispecie di attività pericolose permesse non rappresentano una eccezione con cui verrebbe sottratta alla regola della prevedibilità la disciplina di attività consone al progresso sociale: la potenzialità di un danno è infatti insita nelle più svariate condotte. Questo rilievo è esatto, tuttavia è lontano dal costringere all’abbandono del criterio della rappresentabilità.

Però apre la strada alla soluzione del problema. Ora di solito le attività lecite possono portare a un evento vietato solo col concorso di certe circostanze, mentre certe attività sono espressamente autorizzate dal diritto anche se è facilmente prevedibile che “in ogni caso” la loro realizzazione comporti margini di rischio (azione pericolosa quindi). In quest’ultima ipotesi una regola di condotta che vuole evitare l’evento dovrebbe avere nel suo contenuto quello di non tenere l’evento (nell’esempio in cui io guido auto prudente, non posso prevedere se investirò qualcuno. Allora non dovrei mettermi alla guida per questo rilievo). Questo risultato sarebbe assurdo per una evidente contraddizione dell’ordinamento: infatti autorizzerebbe condotte che ammettono un certo grado di pericolosità, imputando però, perché rappresentabile/evitabile, ogni conseguenza dannosa derivante da una di queste attività). La regola di condotta non può prescrivere l’astensione dell’attività consentita: ci sarà colpa solo in relazione a quegli eventi (rappresentabilità/prevenibilità) o l’ astensione da modalità che non incidano sull’essenzialità del comportamento consentito. La stessa regola di condotta potrà proibire la condotta stessa in presenza di particolari condizioni per ciò che concerne le attività lecite semplicemente perchè non proibite (Cassazione III 11250/1995).

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