La pena è l’imposizione, conforme alla legge e da essa autorizzata, di una privazione o diminuzione della libertà, privacy, della vita in alcuni ordinamenti e altri di beni giuridici della persona, o l’imposizione di speciali oneri in seguito al riconoscimento della colpevolezza dell’autore di un fatto costituente reato.

La pena presenta quindi 6 caratteri essenziali:

  • è un atto autorizzato
  • consiste nella privazione o diminuzione di beni giuridici (simili a quelli protetti dalla norma penale che ne sancisce la pena corrispondente)
  • le privazioni autorizzate sono considerate pene solamente in seguito all’accertamento di responsabilità penale
  • è un’istituzione umana e dunque necessita di un’autorità che la infligga
  • colpisce solamente chi ha commesso un illecito penale (no civile, no amministrativo)
  • non realizza per definizione alcuna esplicita funzione o scopo.

LA GIUSTIFICAZIONE DEL DIRITTO PENALE

Ora bisogna stabilire lo scopo generale del diritto penale, chi deve essere punito, in che modo e in che misura questi vada punito. Questa è la teoria del sistema delle pene, articolato in tre settori: diritto dei tipi di pena, diritto della applicazione e determinazione della pena e diritto della esecuzione della pena.

 

PERCHÊ LA PENA VA GIUSTIFICATA?

La pena, non essendo un fatto naturale, ma un’istituzione umana deliberatamente e intenzionalmente organizzata e praticata, necessita di giustificazione dato che comporta considerevoli costi per chi è coinvolto nell’esecuzione.

Data la non necessarietà della pena, è sorta una corrente abolizionista, risalente agli utopisti TOMMASO MORO e TOMMASO CAMPANELLA, che sostiene che il criminale è tale solamente per via dell’ambiente che lo circonda, a causa di una errata educazione e con il concorso di fattori di cui non è responsabile; pertanto è ingiusto punire chi non ha colpa.

La pena non può essere giustificata e andrebbe abolita, perché i sistemi penali esistenti sono radicalmente incoerenti con i valori che dovrebbero informarli, così come andrebbe eliminato il concetto di reato da sostituire con quello di “conflitto” o “disturbo”.

Questa teoria sostiene che dal concetto di reato deriva una sorta di relativismo morale che comporta l’imposizione di valori a chi non li condivide; è però evidente che anche lo Stato degli abolizionisti dovrà imporre dei valori per rispondere a quei disturbi o conflitti.

Per la tesi abolizionista i conflitti vanno devoluti agli interessati stessi, dato che il diritto penale così come applicato ora non è utile né all’autore che viene spinto a continuare la sua carriera criminale, né alla vittima perché non persegue il suo legittimo interesse a essere risarcita.

Si tratta del c.d. movimento della giustizia ristorativa per cui al reato bisogna rispondere attivando un processo di riparazione o restaurazione tra vittima, offensore e interessati, tramite dei programmi di mediazione e di riconciliazione che portano le parti a discutere insieme di ciò che è accaduto e di come farsene carico. Per gli abolizionisti non si tratta di introdurre la riparazione nel diritto penale, ma di sostituire completamente quest’ultimo, rimpiazzando la pena con altre soluzioni tra cui la riparazione.

Dalle tesi abolizioniste vanno distinte le tesi depenalizzatrici che prevedono il trasferimento al diritto civile dei casi per cui sia sufficiente e adeguata la riparazione del danno richiedendo tuttavia che la quantificazione della riparazione contenga anche elementi punitivi: si tratta in pratica di penalizzare il diritto civile.

L’errore in cui cadono gli abolizionisti e il problema di fondo sta nel fatto che nel reato, in realtà, non si coinvolgono solo due persone in conflitto e alla pari, perché c’è una vittima che ha subito l’offensore e il suo offensore.

Il reato è sempre qualcosa in più del pregiudizio individuale sofferto dalla vittima, in quanto è un danno per l’intera società che non sempre si corregge con la riparazione alla vittima.

L’abolizionismo, invece, NEGA gli interessi della società espressi nella pretesa penale dello stato. In ogni caso occorre distinguere tra:

  1. giustificazione dell’istituto della pena
  2. giustificazione della applicazione della pena ai singoli casi.

La giustificazione di ogni singola applicazione della pena è data dal riferimento alle classiche regole del nulla poena sine lege e nulla poena sine crimen (art. 25 Cost.), ed è una giustificazione interna al sistema penale, procedurale.

La giustificazione dell’istituto della pena deve necessariamente ricorrere a considerazioni che si rivolgono al:

 

  1. futuro: teoria finalistica, ovvero orientata alle conseguenze che produce, o relativa. Si presenta come una versione dell’utilitarismo, secondo cui l’obiettivo dell’istituto della pena è aumentare il benessere sociale riducendo il crimine.
  2. passato: la teoria è deontologica o assoluta. La pena è vista o come un bene in sé o come fedeltà all’ordinamento giuridico e la giustificazione deontologica della pena è abitualmente retributiva. Quindi la pena ha una funzione retributiva rispetto al fatto commesso.

Ci sono poi le teorie miste che fanno prevalere la giustizia sull’utilità, o viceversa.

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