Il problema del fondamento della pena è tra i più dibattuti da parte non solo della scienza penale, ma anche delle altre scienze. Le opinioni in materia, comunque, sono riconducibili alle seguenti quattro teorie fondamentali:

  • la teoria della retribuzione, secondo la quale la pena, essendo un valore positivo, trova in se stessa la sua ragione e giustificazione. Essa, in particolare, rappresenta il corrispettivo del male commesso. Tale teoria, a sua volta, si suddivide in:
    • retribuzione morale, secondo la quale la necessità di punire il colpevole sta nell’imperativo di giustizia che scaturisce dalla coscienza umana e che, secondo la teoria kantiana, costituisce un imperativo categorico.
    • retribuzione giuridica, secondo la quale la pena trova il proprio fondamento non al di fuori, ma all’interno dell’ordinamento giuridico: il delitto, infatti, rappresentando una ribellione del singolo alla volontà della legge, esige una riparazione, ossia la pena, che valga a riaffermare l’autorità dell’ordinamento giuridico.

Caratteri coessenziali della pena retributiva ed autentiche conquiste di civiltà sono:

  • la personalità della pena, in quanto il corrispettivo del male non può che essere applicato all’autore del male.
  • la proporzionalità della pena, in quanto il male subito costituisce il corrispettivo del male inflitto se ed in quanto sia a questo proporzionato.
  • la determinatezza della pena, la quale, essendo proporzionata ad un male determinato, non può non essere anch’essa determinata.
  • l’inderogabilità della pena, nel senso che la pena, in quanto corrispettivo, deve sempre e necessariamente essere scontata dal reo.
  • la teoria dell’emenda, secondo la quale la pena è protesa verso la redenzione morale del reo, ossia verso il suo ravvedimento spirituale.
  • la teoria della prevenzione generale, secondo la quale la pena ha un fondamento utilitaristico, costituendo un mezzo per distogliere i consociati dal compiere atti criminosi.

Dato che la pena agisce psicologicamente come controspinta al proposito criminoso, la sua funzione deve essere svolta sia nel momento in cui è minacciata sia nel momento in cui è applicata, in quanto perderebbe ogni efficacia intimidatrice per il futuro una pena minacciata ma non effettivamente applicata (inderogabilità/ adeguatezza della pena).

  • la teoria della prevenzione speciale, secondo la quale la pena ha la funzione di eliminare o ridurre il pericolo che il soggetto ricada in futuro nel reato (si punisce ne peccetur). Tale teoria opera su un piano naturalistico, attraverso un processo di riadattamento del soggetto alla vita sociale mediante l’eliminazione o l’attenuazione dei fattori che ne hanno determinato o favorito il delitto.

Nella prospettiva della prevenzione speciale, in particolare, vengono posti in crisi tre caratteri della pena retributiva:

  • la proporzionalità, in quanto la pena va adeguata alla personalità ed ai bisogni risocializzativi dell’autore, anziché alla gravità del reato e della colpevolezza.
  • la determinatezza, dato che la pena, non essendo possibile stabilire a priori quando il soggetto sarà risocializzato, deve essere protratta fino a quando non si ritenga raggiunta la risocializzazione.
  • l’inderogabilità, in quanto, al fine di evitare la recidiva, può ritenersi deterrente sufficiente la sospensione condizionale della condanna o della pena, oppure può essere utile e coerente attenuare progressivamente il regime detentivo fino alla liberazione condizionale ed alla definitiva estinzione della pena.

Le varie teorie peccano tutte di assolutezza:

  • la retribuzione e la prevenzione generale ignorano la realtà dei soggetti che cadono e ricadono del delitto nonostante la minaccia del castigo e la sua concreta esecuzione.
  • la prevenzione generale trova il proprio limite nell’effettività della pena, per cui di fronte all’aumento della criminalità si dovrebbe pervenire o al terrorismo penale o alla rinuncia della pena.
  • la prevenzione speciale dimentica i soggetti che non abbisognano di una vera e propria opera rieducativa, nei confronti dei quali la pena non può che avere una funzione retributiva.
  • la retribuzione morale trova il proprio limite nel fatto che l’imperativo morale di punire l’autore del male non vale rispetto ai reati che non possono ritenersi in contrasto coi postulati dell’etica.

Negli ordinamenti moderni, quindi, la pena ha subito continue trasformazione che ne hanno fatto un mixtum compositum, in cui l’idea centrale retributiva e intimidativa si combina e si contempera con le istanze preventive e rieducative. La stessa dottrina, inoltre, si sta sempre più attestando su posizione sincretistiche, riconoscendo la plurifunzionalità della pena, inflitta quia peccatum est et ne peccetur.

Sebbene subisca delle incisive limitazioni e deroghe, tuttavia, l’idea retributiva resta l’idea centrale del diritto penale della libertà, se non nel suo momento giustificativo della pena, quanto meno nel suo momento garantista-proporzionalistico, in rapporto non solo alla determinazione della pena edittale, ma al ruolo di limite insuperabile nella commisurazione giudiziale della pena.

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