Mancando un concetto ed un termine generale che esprimano il concetto di obbligazione in senso tecnico, i giuristi hanafiti dividono le fonti di obbligazioni in:

  • dichiarazione di volontà, unilaterale (es. promessa) o bilaterale (es. contratto);
  • fatto illecito, ossia violazione di un diritto altrui da cui deriva l’obbligo di risarcire il danno. Le obbligazioni da fatto illecito, in particolare, sono quelle derivanti dai delitti civili:
    • il furto, che consiste nell’appropriazione non violenta di un valore patrimoniale, da cui deriva l’obbligo di restituire la cosa sottratta, il valore di questa se si tratta di un bene infungibile o un’uguale quantità di cose della stessa qualità se risulta fungibile;
    • la rapina (o usurpazione), che consiste in una forma di furto aggravata dalla violenza e che viene ulteriormente distinta in rapina della cosa e rapina del godimento;
    • il danneggiamento, che consiste nel danno (distruzione o deterioramento) arrecato alla cosa altrui senza avere l’intenzione di appropriarsene o di usurparne l’uso, ma solo ai fini di nuocere al proprietario della cosa. Da tale delitto deriva l’obbligo di restituire la cosa danneggiata o, se non risulta possibile, di risarcirne il valore;
    • fatto concludente.

La disciplina della mora nell’adempimento non è neppure lontanamente paragonabile con il rigore della tradizione romanistica in materia. Principio generale è che il moroso nulla deve oltre l’oggetto della propria obbligazione, essendo proibita qualsiasi forma di interesse. Il debitore, al massimo, è colpevole dinanzi a Dio e alla propria coscienza, costituendo l’inadempimento senza giusta causa un grave peccato. Dottrine recenti, tuttavia, sono giunte ad ammettere la mora come fatto illecito.

Il contratto (o aqb) viene concepito come un accordo di volontà. Sebbene non sussista una teoria generale del contratto, possiamo individuare alcuni principi della disciplina, i quali, tuttavia, trascendono la mera giuridicità per ricollegarsi alla dimensione morale e religiosa:

  • la forza vincolante si fonda su una doppia motivazione:
    • la necessità di garantire la certezza dei rapporti economici e commerciali;
    • l’obbligo di rispettare la parola data (obbligo morale), considerando che Dio sorveglia il corretto adempimento delle obbligazioni;
    • la libertà contrattuale, che si estrinseca nella possibilità di dar vita a contratti atipici, trova il suo fondamento nell’idea dell’originaria libertà concessa da Dio all’uomo;
    • il principio di equità si manifesta concretamente delle proibizione di ribà (usura) e di gharar (alea), allo scopo di garantire l’equilibrio sinallagmatico del contratto ed evitare qualsiasi arricchimento ingiustificato.
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