Commessa una violazione del diritto internazionale, lo Stato deve risponderne. Le conseguenze del fatto illecito internazionale hanno formato oggetto di un’estesa speculazione teorica che ha contribuito in modo notevole alla sistemazione della materia. L’opinione maggiormente diffusa è che le conseguenze dell’illecito consistano in una nuova relazione giuridica tra Stato offeso e Stato offensore, discendente da una norma apposita (norma secondaria), contrapposta alla norma violata (norma primaria). Non vi è tuttavia accordo per quanto concerne i contenuti di tale relazione giuridica secondaria:

  • secondo Anzillotti, le conseguenze del fatto illecito consisterebbero nel diritto dello Stato offeso di pretendere un’adeguata riparazione, la quale:
    • nel caso di danno materiale, comporterebbe il ripristino della situazione ante quo (restituito in integrum) e il risarcimento del danno;
    • nel caso di danno immateriale, comporterebbe la soddisfazione (es. presentazione ufficiale delle scuse).

Lo schema di Anzillotti è stato seguito da molti autori lungo tutto questo secolo. Come sviluppo e perfezionamento di detto schema, risulta particolarmente importante la tendenza a riportare sotto la norma secondaria anche i mezzi di autotutela: dal fatto illecito discenderebbe per lo Stato offeso sia il diritto di chiedere la riparazione sia il diritto di ricorrere a contromisure coercitive aventi il precipuo ed autonomo scopo di infliggere una vera e propria punizione (Ago);

  • Kelsen critica la posizione di Anzillotti, ritenendo che una costruzione del genere condurrebbe ad un regressus ad infinitum: la violazione nell’obbligo di riparazione, infatti, costituendo a sua volta un fatto illecito, produrrebbe un altro obbligo di riparare, e così all’infinito. Secondo Kelsen, quindi, l’illecito avrebbe come unica ed immediata conseguenza il ricorso alle misure di autotutela, mentre la riparazione sarebbe soltanto eventuale e dipenderebbe in ultima analisi dalla volontà dello Stato offeso e dello Stato offensore di evitare l’uso della coercizione.

La posizione di Kelsen, pur non essendo da condividere fino alle sue estreme conseguenze, contiene molto più delle altre elementi di verità confermati dalla prassi: l’idea dell’illecito che produce rapporti giuridici, infatti, in un ordinamento giuridico primitivo come quello internazionale, conduce ad un modo artificioso di rappresentare la realtà.

Occorre tuttavia chiedersi a che cosa sono finalizzate simili reazioni, elemento questo poco chiaro nelle indagini di Kelsen. Nella prassi le reazioni non hanno come scopo caratteristico quello di punire, ma sono fondamentalmente dirette a reintegrare l’ordine giuridico violato, ossia a far cessare l’illecito e a cancellarne gli effetti. Quanto all’obbligo di riparazione, è senz’altro eccessivo riportarne in tutto e per tutto il fondamento, come fa Kelsen, ad un accordo tra gli Stati interessati. Ciò è vero solo per quelle forme di riparazione consistenti nella soddisfazione, ossia nella presentazione di scuse. Per quanto attiene al risarcimento del danno, invece, non può negarsi che esso sia previsto da un’autonoma norma di diritto internazionale generale

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