La rilevanza del principio di non discriminazione religiosa è rafforzata dalla circostanza che esso si dimostra essere un valore fondamentale della normativa costituzionale, proprio di società assai diverse: non esiste testo costituzionale che non vieti la discriminazione fondata sulla religione, sul credo religioso o sulle convinzioni religiose.

Per quanto riguarda la Costituzione italiana, l’art. 3 co. 1 sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (uguaglianza formale). Se tuttavia fosse vero che tale articolo non accetta differenziazioni, sarebbe davvero arduo trovarne nel nostro ordinamento delle applicazioni conseguenti, specialmente per quanto concerne il fattore religioso. Basta riflettere sul peso sociale che ha avuto nei secoli la Chiesa cattolica per escludere perfino la possibilità che possa pensarsi ad un’assoluta parità di trattamento. Occorre allora cominciare a pensare al principio di uguaglianza formale collocandolo nel più ampio quadro di tutela degli interessi religiosi predisposti dalla Costituzione (artt. 7, 8, 19 e 20). In questo senso il divieto di discriminazione imposta dall’art. 3 varrebbe come divieto di discriminazioni irrazionali, la cui violazione può essere realizzata solo dall’esistenza di distinzione arbitrarie o irragionevoli. Questa interpretazione dell’art. 3 co. 1 mostra una flessibilità adeguata al governo di una società plurale, nella quale il principio di uguaglianza si misura con il principio dell’indeclinabile tutela dell’identità per la contemporanea presenza nel tessuto sociale di gruppi che non reclamano di essere eguali, ma di essere e restare diversi.

Il diritto pattizio sviluppa una sinergia con il diritto di derivazione unilaterale statale nella realizzazione della tutela del diritto riconosciuto dall’art. 19 Cost. a norma del quale tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, di farne propaganda e di esercitarne il culto . Il Costituente sembra convinto che libertà di coscienza e libertà di religione siano la stessa cosa, anche se in questi anni sono state approvate Costituzioni che ben distinguono tra l’una e l’altra libertà, delineando una sorta di itinerario di tutela dall’interno all’esterno dell’individuo, che partendo dal pensiero e dalla coscienza arriva a proteggere il convincimento religioso o laico. La formulazione equivoca dell’art. 19 ha consentito lo svilupparsi di interpretazioni secondo le quali tale articolo vieterebbe addirittura l’ateismo attivo. Questa situazione può tuttavia ritenersi superata, essendosi ormai consolidata l’opinione che l’art. 19 tuteli anche l’ateismo. Nonostante l’equivocità della formula normativa, quindi, ci si avvia ad un riconoscimento esplicito dell’autonomia della libertà di coscienza: coscienza laica e coscienza religiosa hanno acquistato il diritto ad un’eguale tutela, quali capisaldi irrinunciabili dello sviluppo della personalità umana.

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