La seconda importante situazione sospensiva è la maternità: la Costituzione, infatti, si pone in vari articoli (es. art. 37) l’obiettivo di tutelare e di avviare una conciliazione fra essa e il lavoro della donna, a differenza di quanto avveniva in epoca corporativa. L’art. 37 è una norma chiaramente identificabile come legata alle forze cattoliche nell’Assemblea Costituente, soprattutto per ciò che riguarda il riferimento all’essenziale funzione familiare della donna. Tale articolo, tuttavia, non sembra in alcun modo promuovere il lavoro femminile.

La maternità, al contrario, risulta tradizionalmente disciplinata dalla legislazione speciale e, in particolare, dalla l. n. 1204 del 1971, sulla quale si sono innestate varie riforme (l. n. 903 del 1977) volte a estendere alcuni istituti al padre lavoratore e a considerare anche le madri adottive ed affidatarie. L’estensione della fruibilità di alcuni istituti anche al padre lavoratore, in particolare, aveva lo scopo di promuovere indirettamente il lavoro femminile, riducendo quel costo in più che per il datore di lavoro discende dall’ingresso della lavoratrice nel periodo di maternità.

Le tendenze delle varie legislazioni speciali, comunque, sono state raccolte e perfezionate dalla l. n. 53 del 2000, cui ha fatto seguito l’emanazione di un Testo unico di riordinato della materia, il d.lgs. n. 151 del 2001, ossia la fonte normativa attualmente vigente.

Entro questo quadro di valori, gli istituti previsti sono fondamentalmente quattro:

  • il congedo di maternità (art. 16), che comporta per la madre un’astensione obbligatoria dal lavoro, la quale inizia due mesi prima del parto (anticipabili in casi particolari) protraendosi fino a tre mesi dopo il parto. Qualora la lavoratrice madre possa effettivamente sostenerlo, previo parere del Servizio sanitario nazionale e del medico competente, ella può scegliere di protrarre il lavoro fino ad un mese prima del parto, per poi godere successivamente del mese consumato (art. 20).

Durante tale periodo, alla lavoratrice spetta un’indennità erogata dall’INPS, pari all’80% della retribuzione e che spesso viene integrata dal datore di lavoro fino al 100% (art. 22).

Il padre ovviamente non gode di questo congedo, eccezion fatta (solo per il post-parto) per il caso di decesso o grave infermità della madre, di suo abbandono del bambino oppure di affidamento esclusivo del bambino a lui (art. 28 co. 1).

  • il congedo parentale (art. 32), predisposto per il periodo successivo al parto, onde garantire un adeguato tempo di cura al bambino. Tale istituto, in linea di principio, spetta ad entrambi i genitorinei termini seguenti:
    • nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore può fruire di un periodo di congedo (continuativo o frazionato) non superiore a sei mesi, ma entro un massimo complessivo di dieci.
    • qualora uno soltanto dei genitori lavori, l’altro può godere della sua quota intera in sei mesi.
    • qualora vi sia un solo genitore, poiché l’altro è deceduto oppure ha abbandonato o non assiste il bambino, l’unico genitore presente può godere della quota intera di dieci mesi.
    • se il padre, rispetto alla sua quota personale, fruisce di almeno tre mesi di congedo, il suo massimo individuale sale fino a sette (non sei) mesi, ed il massimale di coppia sale a undici mesi (norma promozionale per spingere il padre ad assumersi maggiore responsabilità).

Dato che in questo caso l’indennità pagata dall’INPS è pari al 30% della retribuzione normale, si tratta di un congedo che comporta un costo. In generale, quindi, tenderà a prendere il congedo il genitore che guadagna meno, onde evitare di perdere lo stipendio più alto.

  • i riposi giornalieri (art. 39 ss.), ai quali la madre ha diritto per un ammontare complessivo di due ore giornaliere, anche cumulabili, durante il primo anno di vita del bambino (c.d. riposi per allattamento). Qualora la madre decidesse di non usufruirne, può sempre usufruirne il padre, così come può usufruirne qualora la madre sia deceduta, gravemente inferma o non sia una lavoratrice dipendente, oppure i figli siano stati affidati al solo padre.

In occasione di tali riposi, è prevista un’indennità pari alla retribuzione piena, corrisposta dall’INPS.

  • il congedo per la malattia del figlio: entrambi i genitori hanno diritto di astenersi alternativamente dal lavoro per tutte le malattie del figlio di non più di tre anni. Fra i tre e gli otto anni, invece, questi congedi spettano per cinque giorni lavorativi l’anno.

Per fruire di tale congedo il genitore deve presentare il certificato di malattia rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. In generale, comunque, non si tratta di congedi retribuiti, essendo previsto soltanto il decorso dell’anzianità di servizio.

Mentre il malato è tutelato contro il licenziamento soltanto quando è assente per malattia, per le lavoratrici madri è previsto un divieto assoluto di licenziamento (art. 54) dall’inizio del periodo di gravidanza, certificato dal medico, fino al compimento di un anno di età del bambino. La violazione di tale divieto determina la radicale nullità del licenziamento, da cui consegue il diritto della lavoratrice, una volta dichiarata la nullità dal giudice, alle retribuzioni arretrate.

Esistono però alcune eccezioni al divieto, in quanto esso non si applica:

  • nel caso in cui la lavoratrice abbia commesso con colpa grave un comportamento costituente giusta causa.
  • nel caso di cessazione di attività dell’azienda.
  • nel caso di risoluzione, per scadenza naturale, del contratto di lavoro a temine.
  • nel caso di licenziamento per esito negativo della prova.

Durante il periodo in cui opera il divieto, la lavoratrice non può essere collocata:

  • in mobilità a seguito di un licenziamento collettivo,
  • in cassa integrazione guadagni, salvo il caso che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta.

A prescindere dal periodo di divieto, comunque, è sempre possibile provare, da parte della lavoratrice, che il licenziamento è stato di fatto determinato dalla stato di maternità o dalla fruizione di un congedo previsto dalla normativa in questione, avendosi in tal caso nullità del licenziamento. Il divieto di licenziamento di norma non si applica al padre lavoratore, salvi i casi in cui egli ha fruito del congedo di paternità in sostituzione della madre deceduta, gravemente inferma, ecc

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