Uno dei campi nei quali l’assenza di una qualsivoglia regolazione sembra ormai intollerabile è quello delle regole della contrattazione, le quali dovrebbero presiedere all’articolazione interna del sistema, e segnatamente alla ripartizione di competenze negoziali fra i vari livelli nel quale esso è articolato. Per lungo tempo, infatti, il sistema contrattuale si è sviluppato secondo dinamiche di accrescimento, piuttosto refrattarie ai tentativi di regolazione:

  • anni ’50: esisteva soltanto il contratto nazionale di categoria, a cui si aggiungevano alcuni accordi interconfederali.
  • anni ’60: dominava ancora il contratto nazionale di categoria, ma prendevano avvio i primi esperimenti di una contrattazione aziendale, rigorosamente subordinata, peraltro, al contratto nazionale.
  • anni ’70: si è assistito ad una forte crescita del potere sindacale e ad un’esplosione incontrollata della contrattazione aziendale.
  • anni ’70 e ’80: il sistema contrattuale ha cominciato a proiettarsi verso la dimensione degli accordi interconfederali.
  • anni ’90: solo in questo periodo si è definitivamente sentito il bisogno di dare un assetto più stabile alle relazioni sindacali.

Il sistema contrattuale italiano è stato definitivamente regolato dal Protocollo Ciampi del 1993, che presiede tuttora al suo funzionamento. Tale accordo (trilaterale) regola le procedure per pervenire alla stipulazione dei contratti nazionali:

  • prevede che, ove il nuovo contratto tardi ad essere stipulato, i lavoratori vengano risarciti con l’attribuzione di un’indennità di vacanza contrattuale.
  • prevede che, durante la fase di apertura delle trattative e per il mese successivo alla scadenza, le parti non assumano iniziative unilaterali (imprenditori) né proclamino azioni di sciopero (lavoratori).
  • punta ad inserire in una precisa cornice di regolazione la contrattazione decentrata (territoriale o aziendale). Si è cercato di recuperare il vecchio sistema delle clausole di rinvio, stabilendo che il contratto nazionale abbia il potere di definire le materie che saranno affrontate, nell’ulteriore passaggio contrattuale, a livello di territorio o di azienda.

Il Protocollo Ciampi è il più serio tentativo mai espletato di regolare il sistema contrattuale. Per una decina di anni esso ha ben funzionato, ma in seguito ne sono apparsi impietosamente i limiti, riconducibili, in ultima analisi, alla natura puramente contrattuale degli impegni assunti dal protocollo. Tale protocollo, infatti, comporta due inevitabili e correlate conseguenze:

  • l’accordo non è vincolante per i sindacati che non lo hanno sottoscritto.
  • l’accordo, nei confronti delle confederazioni firmatarie e dei sindacati di categoria ad esse aderenti, non crea un vincolo di natura giuridica, bensì esclusivamente sindacale.
  • (punto non trattato dal Protocollo Ciampi) un contratto collettivo di livello territoriale o aziendale è abilitato a derogare non soltanto in melius, ma anche in peius ai trattamenti previsti dal contratto nazionale. Non esiste, infatti, alcuna regola o principio dai quali possa trarsi il primato giuridico di un contratto collettivo, di natura privatistica, su un altro contratto collettivo, dotato di un identico status, ancorché di livello inferiore.

Il sistema contrattuale, quindi, ha un urgente bisogno di una qualche forma di regolazione. In generale, prevale l’idea di spostare verso il livello decentrato il baricentro del settore, e di ridurre, per converso, il peso del contratto nazionale. Tale ipotesi, sebbene sia condivisa da buona parte del movimento sindacale, è tuttavia avversata dalla CGIL, che punta a preservare il primato del livello nazionale di contrattazione.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento