Altre discriminazioni

La tecnica normativa adottata per le discriminazioni in materia di sesso è stata estesa anche ad altre discriminazioni, in particolare a quelle basate sulla razza, sull’etnia, sull’origine linguistica, sulla religione, sulla cittadinanza e sulla visione politica e sindacale (art. 15 St. lav.). Recependo due direttive comunitarie del 2000, inoltre, la normativa antidiscriminatoria si è ampliata:

  • il d.lgs. n. 215 del 2003, sulle discriminazioni per razza e per origine etnica.
  • il d.lgs. n. 216 del 2003, sulle discriminazioni per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età e per orientamento sessuale.

Tali decreti, in particolare, definiscono il concetto di discriminazione (diretta e indiretta) in relazione ai suddetti fattori, prevedendo particolari strumenti di tutela giurisdizionale.

Altre regole sparse di non discriminazione sono rintracciabili nelle normative che riguardano le c.d. tipologie contrattuali flessibili (es. lavoro a termine, part-time), nelle quali sono previste specifiche regole di parità di trattamento tra i lavoratori atipici e i lavoratori standard.

Azioni positive

Alcune normative vanno oltre alla non discriminazione, proiettandosi verso una logica di diritto diseguale: certe categorie o situazioni, infatti, sono caratterizzate da una diseguaglianza di partenza, per riequilibrare la quale non basta affermare il principio di non discriminazione, occorre invece stabilire condizioni di privilegio , atte a compensare la posizione di debolezza sociale iniziale (art. 3 co. 2 Cost.). Le due principali categorie prese in esame sono:

  • le donne lavoratrici.
  • i disabili.

Circa le donne, onde compensare il tradizionale svantaggio occupazionale e professionale delle medesime, la l. n. 125 del 1991 cercò di promuovere le c.d. azioni positive, ossia delle misure dirette a promuovere l’inserimento e lo sviluppo professionale delle donne nel mercato del lavoro. Tali azioni positive, tuttavia, sono state solamente promosse: i meccanismo di incentivazione predisposti per le imprese che adottino misure di questo genere, infatti, sono soltanto facoltativi. Le azioni positive, tra le altre cose, potrebbero spingersi a stabilire quote riservate alle donne nei concorsi, così come avviene, mutatis mutandis, per i disabili.

In generale, comunque, rimane da stabilire fino a che punto una politica di quote sia legittima e non si traduca in una disparità di trattamento a danno dei lavoratori.

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