Spesso il sindacato di ragionevolezza viene usato fuori dallo schema ternario, in particolare nelle ipotesi in cui il controllo non investe la parità di trattamento, ma valutazioni di adeguatezza, di pertinenza o di coerenza interna della legge. In alcuni casi si mette in luce la ragionevolezza della legge, in altri il rapporto di coerenza che deve unire la legge al sistema normativo complessivo, cosa questa che ha portato a discernere il principio di ragionevolezza da quello di eguaglianza, sebbene siano entrambi desumibili dall’art. 3.

Spesso la Corte costituzionale ha ricalcato il controllo giurisdizionale sull’eccesso di potere amministrativo sindacando l’irragionevolezza della norma alla luce dei fini ad essa imposti dalla Costituzione. Si è quindi venuto a creare una sorta di sindacato sull’eccesso di potere legislativo:

  • impertinenza, ossia mancanza di correlazione logica del meccanismo legislativo rispetto agli obiettivi da perseguire;
  • inadeguatezza, ossia uso di strumenti legislativi inutili in relazione alla finalità perseguita. In alcuni casi è possibile parlare anche di irragionevolezza sopravvenuta (o anacronismo legislativo), che si ha nei casi in cui la legge diventa inadeguata a seguito del venir meno della sua ragione giustificativa originaria.

Il sindacato di ragionevolezza, basandosi sulla valutazione della norma alla luce degli scopi perseguiti dal legislatore e della loro corrispondenza con il dettato costituzionale, si ispira al sindacato sull’eccesso di potere elaborato in sede di giustizia amministrativa, soprattutto sul versante dell’illogicità e dell’ingiustizia manifesta. La ragionevolezza rimane comunque un criterio di controllo interno alle scelte effettuate dal legislatore (art. 28 della l. n 87 del 1953).

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