Quando si parla del rapporto tra giustizia costituzionale e forma di governo, occorre partire dalla considerazione che la Corte italiana incide sulla forma di governo:

  • come giudice delle leggi ha il potere di annullare testi normativi;
  • come giudice dei diritti ha il potere di giudicare su questioni di costituzionalità che nascono incidentalmente nel corso di controversie.

Gli anni compresi tra il 1987 e il 1989 (fase III) sono stati caratterizzati dallo sforzo organizzativo che la Corte operò per eliminare il proprio arretrato e per arrivare a tempi di decisione delle controversie molto ridotti rispetto ai precedenti. Dopo questa svolta la Corte riuscì a stabilizzare i tempi di decisioni delle proprie cause nell’arco di circa sei mesi, e questo per due motivi principali:

  • complessivamente le questioni di costituzionalità nell’ultimo decennio non sono aumentate;
  • la Corte ha potuto stabilizzare il suo lavoro con una produttività di cerca cinquecento sentenze l’anno.

A seguito di questa svolta, la dottrina ha messo in luce il valore essenziale del fattore temporale nelle pronunce di costituzionali: la decisione in tempo reali delle controversie di costituzionalità, infatti, conduce inevitabilmente ad aumentare il carattere politico del processo costituzionale a danno del suo carattere giurisdizionale. Questa vicenda, comunque, non si presenta soltanto come una svolta, ma anche come un punto di sbocco naturale di un lungo processo storico che ha impegnato tutto l’arco dei trenta anni che vanno dall’inizio del nostro sistema di giustizia costituzionale fino al 1986.

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