Il rapporto di società può sciogliersi rispetto ad un socio e persistere per gli altri. Questo è possibile perché nell’economia del contratto la singola partecipazione ha una posizione strumentale e quindi il suo venir meno non importa necessariamente l’irraggiungibilità dello scopo sociale.

Questo scioglimento parziale avviene in caso:

  • di morte
  • di recesso
  • di esclusione del socio

Morte

Se il socio muore il rapporto non si trasmette agli eredi perché il contratto sociale, come detto, è stipulato intuitu personae. Gli eredi, quindi, non possono prendere il posto del defunto e la partecipazione di costui necessariamente si risolve, col conseguente obbligo a carico della società di liquidarne la quota agli eredi (art. 2284). Tale obbligo, tuttavia, è subordinato a due condizioni negative:

  • che la società non deliberi lo scioglimento, per cui viene dato il diritto alla società di sottrarsi alla liquidazione separata della quota, ponendosi in liquidazione.

Nel caso in cui venga presa tale deliberazione, gli eredi del defunto hanno diritto di prender parte alle operazioni relative. Essi, in questo caso, subentrano nella posizione del defunto perché gli obblighi e i diritti inerenti alla partecipazione di una società in stato di liquidazione non hanno carattere personale e pertanto sono suscettibili di trapasso.

  • che la società non deliberi la sua continuazione con gli eredi, per la quale è necessario il consenso unanime degli stessi.

Nel caso in cui tale accordo si verifichi, si ha una modificazione del contratto, per cui al posto di un socio ne sottentrano altri. Ciascuno di essi, dunque, diviene socio per la sua parte, comportando così il frazionamento della partecipazione del defunto in più partecipazioni distinte.

Spesso nel contratto di società viene inserita la clausola per cui, in caso di morte di un socio, la società prosegue con gli eredi del defunto. Questo patto, tuttavia, può assumere vari atteggiamenti:

  • può essere disposto a carico dei soci superstiti, lasciando agli eredi del socio defunto la facoltà di scelta fra la liquidazione della quota e l’assunzione della partecipazione sociale. Se gli eredi non si pronunciano nel termine congruo, ai soci superstiti non resta che di procedere alla liquidazione della loro quota.
  • può essere stipulato nell’interesse dei soci superstiti, ponendo l’obbligo a carico degli eredi di continuare l’azienda. In questo caso il socio assume l’obbligo che i suoi eredi subentreranno nella sua partecipazione, obbligo questo che fa parte del patrimonio ereditario e che necessariamente fa carico a chi subentra in universum ius. L’erede può non adempiere l’obbligo, ma ove l’adempia ed assuma la qualità di socio non può sottrarsi alle conseguenze che ne derivano.
  • può essere disposto ponendo la continuazione automatica della società con gli eredi (clausola di successione), per cui il fenomeno si sottrae sia alla volontà dei soci superstiti sia a quella degli eredi: per effetto dell’accettazione dell’eredità questi diventerebbero necessariamente soci.

Questo patto dà luogo a difficoltà, quando la partecipazione sociale importi una responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali. In questo caso il patto sembra contrastare sia con le norme del diritto successorio, sia con quelle della società, le quali suppongono che non si possa diventare socio a responsabilità illimitata senza una propria dichiarazione di volontà. Tale clausola di accettazione, quindi, è nulla e per conservare un effetto utile può apprezzarsi solo come clausola con obbligo di continuazione a carico degli eredi.

Recesso

Il recesso consiste nella dichiarazione di volontà (anche verbale) del socio che pone termine al rapporto sociale nei suoi confronti. Tale recesso è ammesso:

  • quando vi è una giusta causa (art. 2285 co. 2), caso in cui ha effetto immediato.
  • quando la società è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di una dei soci (art. 2285 co. 1), caso in cui ha effetto dopo tre mesi dalla sua comunicazione.

Non sarebbe lecito sopprimere la possibilità di recedere in queste due ipotesi, perché non può togliersi al socio la difesa di liberarsi dal vincolo sociale quando vi siano giusti motivi, né lo si può costringere a stare in società per un periodo indeterminato.

Il contratto sociale può ammettere anche altre ipotesi di recesso, regolando pure le modalità e il termine per il suo esercizio. Se nulla è disposto su questi ultimi punti, deve ritenersi che il recesso nei casi previsti abbia effetto immediato ed il suo esercizio avvenga secondo le regole suddette.

L’efficacia del recesso resta annullata se gli altri soci deliberano lo scioglimento anticipato della società.

Esclusione

L’esclusione consiste nello scioglimento parziale del rapporto sociale, indipendentemente dalla volontà del socio che viene estromesso. Tale esclusione può avvenire:

  • di diritto:
    • nei confronti del socio dichiarato fallito (art. 2288 co. 1), in quanto il fallimento di un socio ha inevitabili ripercussioni dannose sul gruppo dei soci e sulla prosecuzione dell’attività.

Tale fallimento determina l’automatica esclusione del socio.

  • nei confronti del socio del quale i creditori abbiano ottenuto la liquidazione (art. 2288 co. 2), in quanto se dalla società viene tolta la quota di un socio, con ciò stesso cessa il fondamento perché costui continui a farne parte.

Non basta tuttavia la richiesta di liquidazione, ma occorre che la quota venga effettivamente liquidata, anche se poi tale liquidazione retroagisce al momento della richiesta. Il socio, infatti, può sempre impedire la liquidazione soddisfacendo i creditori, e quindi sembra prematuro escluderlo dalla società prima che la liquidazione effettiva sia avvenuta.

  • per volontà degli altri soci:
    • per gravi inadempienze alle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale (es. non eseguire i conferimenti, servirsi per fini personali delle cose appartenenti al patrimonio). In questi casi, oltre all’esclusione, può chiedersi il risarcimento del danno al socio colpevole (art. 2286 co. 1).
    • per l’impossibilità del socio di eseguire il conferimento promesso, cosa che avviene se il socio diventa inidoneo ad eseguire l’attività promessa, se la cosa conferita per il godimento perisce per caso fortuito, oppure se la cosa che uno si è obbligato a conferire in proprietà perisce prima che la proprietà sia acquistata dalla società (art. 2286 co. 2 e 3). Occorre tuttavia che tale impossibilità riguardi il conferimento nella sua interezza.
    • per mutamenti nello stato personale del socio, ovvero nei casi in cui il socio venga interdetto, inabilitato oppure condannato ad una pena che importi l’interdizione anche temporanea dai pubblici uffici (art. 2286 co. 1).

Questi fatti non danno luogo all’esclusione di diritto, perché la società può avere interesse, anziché ad escludere il socio, a chiedere il risarcimento del danno per le violazioni commesse dal socio, ad ottenere l’esecuzione coatta del conferimento inadempiuto, oppure a ritenere non rilevante ai fini dell’attività sociale il mutamento dello stato personale del socio. Se in questi casi l’esclusione avvenisse di diritto, quindi, alla società, anziché un vantaggio, verrebbe recato un danno.

L’esclusione è impossibile:

  • quando la società risulti disciolta
  • quando il rapporto sociale nei confronti del socio si sia estinto per recesso legittimo.

Tale esclusione viene esercitata dalla maggioranza dei soci, non computandosi nel numero di questi il socio da escludere, ed ha effetto dopo trenta giorni dalla sua comunicazione al socio escluso. Entro questo termine tale socio può fare opposizione davanti al tribunale, il quale può sospendere l’esecuzione (art. 2287).

L’esclusione, comunque, produce l’estinzione del rapporto sociale nei confronti del socio e, se costui era amministratore, anche del potere di amministrare.

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