Le azioni acquistate dalla società si trovano in una situazione particolare, perché in linea di massima i diritti ad esse collegati rimangono in uno stato di quiescenza. L’art. 2357 ter co. 2, infatti, pone come regola che, fintanto che le azioni restano in proprietà della società, il diritto agli utili ed il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni. A questa regola, tuttavia, la riforma ha posto un’eccezione, disponendo che l’assemblea può autorizzare l’esercizio totale o parziale del diritto di opzione.

Quanto al diritto di voto, esso è sospeso, ma le azioni proprie vengono comunque computate nel capitale ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea. In tal modo l’acquisto di azioni proprie non produce l’abbassamento dei quorum assembleari, così che la maggioranza non può trarne un vantaggio. Altrettanto vale per stabilire l’entità degli utili da accantonare a riserva. L’acquisto di azioni proprie, quindi, non influisce sul valore nominale del capitale cui è rapportata la riserva.

L’art. 2357 ter co. 1 vieta agli amministratori di disporre, senza l’autorizzazione dell’assemblea, delle azioni acquistate, le quali infatti, se fossero rimesse in circolazione, verrebbero ad alterare la posizione degli azionisti. L’assemblea, quindi, nell’autorizzare gli amministratori a disporre delle azioni in questione, deve stabilire le relative modalità (es. quantità delle azioni di cui disporre, durata dell’autorizzazione).

Si era discusso se con una stessa deliberazione fosse possibile autorizzare sia l’acquisto sia la rivendita (cosiddetto trading). La riforma ha poi espressamente autorizzato questo genere di operazioni, disponendo che l’autorizzazione assembleare può prevedere operazioni successive di acquisto ed alienazione (co. 1)

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento