Le clausole di gradimento condizionano l’alienazione delle azioni al gradimento di un qualche organo sociale, con il fine pratico di vietare l’acquisto della qualità di socio da parte del cessionario sgradito.

In via di principio è ben configurabile un interesse della società a filtrare le persone dei nuovi soci, tuttavia, l’esperienza pratica dimostra come le clausole di gradimento siano state sistematicamente usate nell’interesse dei soli gruppi di controllo, allo scopo di evitare di essere scalzati dai cosiddetti scalatori. A questo scopo gli statuti spesso prevedevano clausole dette di mero gradimento, che permettevano di rifiutare il gradimento senza indicare i motivi del rifiuto.

Con riferimento a queste, l’art. 2355 bis co. 2 dispone che esse sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell’alienante. Tale norma, quindi, volendo evitare che il socio intenzionato ad alienare resti prigioniero della società, propone due soluzioni nel caso in cui il gradimento sia negato:

  • le azioni devono essere acquistate dagli altri soci o dalla stessa società.
  • il socio intenzionato ad alienare può recedere dalla società.

In entrambi i casi, comunque, si pone un problema di determinazione, che tuttavia viene risolto con riferimento all’art. 2437 ter: il prezzo dell’acquisto o dell’entità della liquidazione, infatti, viene determinato secondo le modalità e nella misura previste da tale articolo (art. 2355 bis co. 3). Queste regole si applicano anche a tutte le clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento della azioni a causa di morte, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso (disposizione discussa) (art. 2355 bis co. 3).

Questa nuova disciplina, quindi, tende evidentemente ad evitare la situazione di stallo che in precedenza si configurava, quando si riteneva che il rifiuto del gradimento non invalidasse l’atto di vendita, che restava peraltro inopponibile alla società, così che l’acquirente sgradito veniva a trovarsi nella situazione di poter esercitare i diritti patrimoniale (es. riscuotere il dividendo), ma non quelli corporativi (es. votare).

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