Una simile prospettiva è stata propiziata da talune visioni storiche della responsabilità oggettiva, in particolare l’idea che quest’ultima sia esclusivamente funzione di una deep pocket, della tasca ricca deputata solo per questo a pagare, affermata nella letteratura di common law agli inizi del secolo; e dell’analogo principio richesse oblige, risuonante nella tradizione francese.

Con riguardo a questo e a quella, la dottrina non ha dovuto impiegare grande sforzo nella confutazione.

È chiaro che quelli in questione non sono criteri di responsabilità, perché criterio è sinonimo di costante, di modello, il contrario di caso, mentre è del tutto casuale che in una relazione di danno sia coinvolta una deep pocket.

La dottrina non ha fatto fatica a recuperare criteri più attendibili, caratterizzati in generale dall’accollo del costo del danno a colui che si assume il relativo rischio.

Quanto all’idea di una responsabilità assoluta perché ancorata alla pura causalità, la scelta di una sequenza causale tra le tante che alternativamente possono essere fatte rilevare sottende un criterio di qualificazione della causalità che così diventa criterio di imputazione della responsabilità.

Un rapporto causale concepito allo stato puro in funzione del giudizio di responsabilità presenterebbe almeno due inconvenienti insuperabili:

a. da un lato esso tende all’infinito nei due sensi, in avanti e all’indietro, onde senza un criterio di qualificazione che lo assista è arbitrario determinare rispettivamente da quale punto d’avvio esso diventa rilevante e fino a quali eventi e a quali conseguenze il responsabile sarà tenuto;

b. dall’altro, alla causalità del soggetto fatto responsabile corrisponde una causalità del danneggiato e questo implica che senza un criterio ulteriore è arbitrario imputare solo ad uno dei due o dei più l’evento dannoso.

Ambedue le difficoltà si superano facendo reagire sul rapporto di causalità il criterio di imputazione.

Per il primo aspetto il criterio di imputazione funge da criterio di individuazione del segmento di causalità da considerare rilevante ai fini della responsabilità.

Quanto al secondo profilo, se nella responsabilità per dolo quest’ultimo rende sufficiente che si faccia capo alla condotta dell’agente per decidere della responsabilità, nella responsabilità per colpa è necessario accertare se non ricorra una colpa concorrente del danneggiato (1227.1), dalla quale viene fatta conseguire una limitazione della responsabilità.

Perciò sia i sistemi di legge scritta sia la common law, ai fini dell’imputazione del fatto, hanno considerato il nesso causale come elemento necessario ai fini del giudizio di responsabilità, ma non sufficiente fino a quando non sia qualificato dalla colpa o dal dolo.

Pure nelle fattispecie di responsabilità oggettiva il rapporto di causalità non può essere lasciato a decidere da solo della responsabilità.

La responsabilità oggettiva non può essere pura assenza o irrilevanza dei criteri soggettivi di imputazione, bensì sostituzione di questi con altri di natura oggettiva.

Mentre nella responsabilità per colpa quest’ultima si asside su un nesso causale già individuato tra evento e fatto ai fini della qualificazione di quest’ultimo in funzione della responsabilità, nella responsabilità oggettiva sono i criteri di imputazione ad individuare la sequenza causale alla quale occorre fare riferimento ai fini della responsabilità.

Anzi, a ben vedere, sono decisivi della sfera giuridica da fare responsabile: nelle fattispecie di responsabilità oggettiva il nesso causale non si identifica con la condotta di un agente candidato alla responsabilità, bensì o si riferisce alla condotta di altri o addirittura non coincide con una condotta, bensì con una concatenazione tra fatti di altra natura, inidonea a risolvere la questione della responsabilità.

La norma risolve di volta in volta tale questione mediante una qualificazione.

Una responsabilità oggettiva che si volesse ipotizzare priva di un criterio di imputazione finirebbe per coincidere, nei riguardi del danneggiato, con l’assicurazione contro i danni.

Ora, la responsabilità è la qualificazione negativa di un fatto nei confronti di colui sul quale se ne fa gravare il costo, instaurando nella sua sfera giuridica un’obbligazione di risarcimento del danno.

Quale che sia il criterio di imputazione, il fatto di cui si risponde è considerato come un fatto che doveva o poteva essere evitato da colui che ne viene reso responsabile; alla prima ipotesi corrisponde la responsabilità soggettiva, alla seconda quella oggettiva.

Se non si introduce la connotazione di potere o dovere che abbiamo indicata, non si fornisce un criterio discretivo tra responsabilità oggettiva ed assicurazione.

L’assicurazione infatti si limita a garantire un risultato economico con riguardo a fatti dannosi che sul piano giuridico sono considerati in termini di puro riflesso della loro connotazione economica in quanto nei confronti dell’assicuratore non si configura né un dovere né un potere di evitarli.

L’evoluzione della responsabilità oggettiva mette in luce una singolare propensione di essa per l’incompletezza storica.

Nell’àmbito della law in action la responsabilità oggettiva è venuta gradualmente guadagnando degli spazi correlativamente abbandonati dalla colpa, ma ciò è avvenuto molto spesso senza quei precisi riconoscimenti formali che costituiscono ampia misura della rilevanza storica di una vicenda.

D’altra parte, quando è sembrato che la forza delle cose dovesse finalmente dare ragione alle teorizzazioni, il sopraggiungere inappellabile dell’istanza di sicurezza sociale ha rischiato di vanificare le difficili conquiste della responsabilità oggettiva: è stato facile allora pensare che se il superamento della colpa doveva servire a dare maggiore protezione alle vittime dei fatti dannosi, tanto valeva portare fino in fondo l’istanza, apprestando un sistema di sicurezza sociale.

La responsabilità oggettiva è apparsa insufficiente nei confronti dei risultati ben più decisivi che l’assicurazione sociale è in grado di conseguire.

Ancora una volta, però, è l’elemento culturale a fornire la ragione decisiva della mancata affermazione storica della responsabilità oggettiva.

Sin dal suo primo apparire la responsabilità oggettiva è stata concepita, dai suoi teorizzatori come dai suoi oppositori, secondo modelli tutti viziati da una contraddizione.

La responsabilità emergeva infatti come esito sanzionatorio di un evento dannoso in ipotesi non imputabile al soggetto ma riferito ad un’attività o ad una situazione oggettivata, in quanto tale resa estranea al soggetto medesimo.

Diventava perciò incomprensibile che la responsabilità finisse col gravare su quello stesso soggetto, autore dell’attività sanzionata, che in partenza era stato estraniato dal modello.

Ritenere che le fattispecie di responsabilità oggettiva esigano la verifica del rapporto di causalità allo stesso modo che le fattispecie di responsabilità soggettiva significa ipotizzare un requisito che o è superfluo, limitandosi a ripetere i risultati cui si giunge con il mero ricorso al criterio di imputazione della responsabilità, o è deviante, perché ne oblitera la diversa funzione rispetto a quella svolta nella responsabilità per colpa.

A differenza dalla responsabilità soggettiva, nella quale colpa e dolo sono criteri di qualificazione del nesso causale, onde il ricorrere di quest’ultimo va accertato nel caso concreto, nella responsabilità oggettiva il giudizio è puramente tipologico e consiste nell’appurare se il fatto che si è verificato appartenga o meno alla serie di quelli che il criterio di imputazione ascrive ad una certa sfera soggettiva per il loro semplice accadere.

Nella responsabilità oggettiva non può porsi un problema di rapporto di causalità come struttura portante di un criterio di imputazione: quest’ultimo invece emerge come criterio di individuazione degli elementi tra i quali deve ricorrere un rapporto di causalità ai fini del giudizio di responsabilità.

Così nel 2049 (Responsabilità dei padroni e dei committenti) l’imputazione al padrone o committente è il risultato della scelta, che la norma opera, di un determinato rapporto di causalità, coniugato con altri elementi, la preposizione e l’esercizio delle incombenze.

Laddove nella responsabilità per colpa quest’ultima è richiamata dal rapporto causale e ad esso si aggrega, nella responsabilità oggettiva è il criterio di imputazione che sceglie il rapporto di causalità da rendere rilevante.

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