Una tutela aquiliana, pur residuale, del patrimonio come insieme va incontro a un duplice ostacolo.

Da un lato, l’improbabilità di una scoperta avvenuta solo di recente: obiezione alla quale si potrebbe opporre che ogni evoluzione giurisprudenziale comporta innovazione del sistema ricevuto.

Dall’altro – e qui l’ostacolo appare insormontabile – la struttura dell’intero sistema della responsabilità di diritto civile, costruito su una bipartizione tra inadempimento dell’obbligazione e fatto illecito, commette al primo il risarcimento di tutto il danno che si configuri come conseguenza immediata e diretta della violazione del vinculum iuris ed ai fatti illeciti tutto il danno che consegua da ogni lesione di situazioni soggettive che non costituisca violazione di un obbligo.

La pura perdita economica, da sempre ascritta alla responsabilità contrattuale, induce ad escludere una contemporanea valenza extracontrattuale per comportamenti che costituiscano già inattuazione di un rapporto obbligatorio sotto il profilo della prestazione (escludere la responsabilità extracontrattuale del terzo non significa scagionarlo tout court: egli risponderà alla stessa stregua del debitore inadempiente).

{L’affermazione del testo non si inscrive nella questione del concorso (cioè della astratta applicabilità di una pluralità di discipline, tra le quali l’interprete può scegliere quella concretamente applicabile: concorso vero; ovvero l’unica veramente applicabile: concorso apparente) della responsabilità aquiliana con quella contrattuale.

Tale questione si pone in verità solo quando nel rapporto obbligatorio risulti violato non l’interesse alla prestazione ma un interesse di protezione, cioè un interesse ulteriore rispetto a quello che si intende soddisfare con la prestazione, interesse ulteriore per la tutela del quale sarebbe astrattamente disponibile anche il rimedio aquiliano, ma che viene ascritto all’area della responsabilità contrattuale quando non solo la preesistenza ma anche l’attuazione del rapporto tra danneggiante e danneggiato si riveli conditio sine qua non della lesione.

Nelle ipotesi di complicità nell’inadempimento ricorre la violazione dell’obbligo di prestazione, obbligo che è esclusivo e specifico del rapporto obbligatorio, onde la possibilità di un concorso, in capo al debitore, della responsabilità extracontrattuale con quella contrattuale non si pone nemmeno.

L’incompatibilità tra inadempimento e responsabilità extracontrattuale, ragione ultima della distinzione tra responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana, è ora precisata da Cass. 9911/1998, secondo la quale perché possa sorgere in capo ad una delle parti una responsabilità di natura aquiliana in luogo dell’esclusiva responsabilità di natura contrattuale occorre che il fatto prospettato come generatore del danno sia completamente estraneo all’esecuzione della prestazione dovuta.

Analogamente Cass. 589/1999 conferma che se a fondamento della pretesa venga enunciato l’inadempimento di un’obbligazione, è ipotizzabile unicamente una responsabilità contrattuale.

Con riguardo all’inadempimento dell’obbligo di prestazione un problema di concorso tra responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana si può porre solo quando la persona o la cosa del creditore costituiscano il sostràto della prestazione del debitore.

Per questa specie di obbligazioni Luigi Mengoni, proprio in considerazione del fatto che la violazione dell’integrità fisica del paziente è conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo di prestazione, ritiene logica conseguenza l’inammissibilità del concorso: l’interesse di protezione si identifica senza residui con l’interesse alla prestazione.

Nota però Giovanna Visintini che i danni alla persona subiti dai contraenti sono conseguenti alla violazione di obblighi di protezione e quindi dovrebbero essere soggetti al regime contrattuale, ma i giudici ricorrono alla regola del cumulo per consentire il risarcimento che altrimenti sarebbe prescritto: in materia di trasporto ad es. il 2951.1 prevede il termine di un anno per i diritti derivanti dal contratto, mentre per la responsabilità extracontrattuale da circolazione di veicoli il 2947.2 contempla una prescrizione biennale}.

Se si osserva la fattispecie da cui è derivata l’affermazione di Cass. 4755/1986, relativa a un preteso diritto all’integrità del patrimonio, quello che nella decisione riferita viene configurato come danno meramente patrimoniale è in realtà il danno conseguente all’inadempimento dell’obbligazione ad opera di un debitore rimasto estraneo alla controversia giudiziale, ma rispetto al quale il terzo si atteggia quale partecipe all’inadempimento più che come autore di un illecito autonomo.

Infatti l’illecito del terzo si compenetra inscindibilmente nell’inadempimento di chi è parte di un rapporto obbligatorio onde a risultare rilevante è solo l’inadempimento, rispetto al quale si tratta piuttosto di situare adeguatamente il terzo, non quale coautore dell’inadempimento, perché questo in quanto inattuazione del vinculum iuris, che è tale esclusivamente per il debitore, può essere affermato solo con riguardo a quest’ultimo, ma quale partecipe della responsabilità del debitore.

L’induzione è un modo qualificato di rendersi partecipi dell’inadempimento altrui.

Quanto alla qualificazione giuridica, la responsabilità che se ne è desunta a carico del complice è stata detta, scorrettamente, extracontrattuale.

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