Cass. civ., sez. II, 21.03.1989, n. 1402

Il fatto

Tizio muore e designa come eredi in testamento olografo, molto dettagliato,i fratelli Caio e Sempronio.

Caio cita in giudizio Sempronio poichè questi sosteneva che alcuni beni (nel frattempo donati da Sempronio a suo figlio Mevio ) gli erano stati attribuiti in piena proprietà, mentre invece, secondo Caio, essi dovevano ritenersi comuni ad entrambi gli eredi.

Mentre il tribunale rigetta la domanda, la corte di appello accoglie le ragioni di Sempronio e ritiene infondata la eccezione proposta da Mevio di inopponibilità nei suoi confronti della sentenza di accoglimento della domanda per essere stata essa trascritta, in data di più di cinque anni successiva alla trascrizione dell’acquisto mortis causa contestato in favore del proprio dante causa, in quanto nell’ipotesi prevista dall’art. 2652 n. 7 cod. civ., invocato da Mevio, la buona fede dell’acquirente non può essere presunta, ma va provata dall’interessato, costituendo tale disposizione solo un’integrazione di quanto disposto dall’art. 534 cod. civ. con riferimento all’acquisto dall’erede apparente, in cui la buona fede non è presunta.

Nella specie i contrasti tra parenti facevano propendere per la presunzione hominis della malafede nella alienazione e nell’acquisto dei beni tra padre e figlio.

Sempronio e Mevio ricorrono per cassazione contro tale sentenza, che li vede soccombenti.

Decisione della Cassazione

La Cassazione accoglie il ricorso, argomentando che se la trascrizione della domanda dell’erede con cui si contesti il fondamento di un acquisto a causa di morte è eseguita dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell’acquisto, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi di buona fede che abbiano trascritto prima il loro titolo (art.2652 n.7) c.c.); l’art. 2652 n. 7 cod. civ., quindi, non integra l’art. 534 cod. civ., ma regola fattispecie diverse o richiede un requisito specifico (inerzia del vero erede per cinque anni) idoneo da solo a giustificare una diversità di disciplina in ordine alla prova della buona fede; tale conclusione trova conferma nella stessa formulazione dell’art. 2652 n. 7 cod. civ., il quale,

prevedendo espressamente che è “salvo quanto è disposto dal secondo e dal terzo comma dell’art. 534”, lascia chiaramente intendere che le due norme disciplinano fattispecie con presupposti diversi e non che l’una integri la disciplina contenuta nell’altra; con riferimento specifico alla presunta incomprensibilità del riconoscimento del beneficio della presunzione della buona fede nei confronti dell’acquirente a titolo gratuito, si può osservare che gli acquisti a titolo gratuito dal terzo in buona fede sono fatti salvi anche nelle ipotesi considerate nei nn. 1, 4, 6 e 9 dell’art. 2652 cod. civ., per le quali non si dubita che la buona fede sia presunta, in conformità ai principi generali, per cui sarebbe piuttosto incomprensibile una diversità di disciplina riferita alla ipotesi considerata nel n. 7.

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