I rimedi consensuali sono i rimedi basati sul consenso delle parti, nel senso che le parti sono d’accordo nel convenire che l’una potrà usare un rimedio di tutela nel caso in cui l’altra parte dovesse risultare inadempiente. La materia dei contratti è ricca di queste soluzioni in quanto essa deriva dalla stessa libertà di contrattazione.

Tuttavia vi sono dei limiti a questo potere delle parti, uno di questi è il divieto, di carattere generale, per le parti di introdurre una qualsiasi misura che comporti l’uso della coercizione (es. una forma di espropriazione su basi consensuali). Le misure coercitive sono monopolio dello stato.

Un’applicazione di tale limite è data dal divieto di patto commissorio ossia il divieto di stipulare un patto in forza del quale si stabilisce che, in mancanza del pagamento del debito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno, passi al creditore.

Questa regola vuole evitare che l’esistenza del debito possa costituire l’occasione per forme di coercizione diretta esercitate sulla libertà del debitore.

Possiamo concludere dicendo che non è consentito alle parti introdurre nelle loro contrattazioni misure di tutela che possano interferire con il potere dello Stato, la ratio di tale limite è sia di proteggere il debitore che gli altri creditori.

Ma nell’osservanza di tale limite è data la possibilità alle parti di introdurre concreti rimedi di tutela. Tali rimedi consistono nella maggior parte dei casi nel pagamento di somme di denaro. Tale rimedio è più diffuso e prende il nome di penale. Il pagamento in questa circostanza ha la funzione di indurre il contraente all’adempimento: nella minaccia di dover pagare la penale il contraente sarà indotto a rispettare i propri impegni. E’ ovvio che il pagamento della somma è dovuto indipendentemente dalla prova del danno.

Le penale costituiscono una forma di coercizione indiretta. Esse sono quindi ammesse dall’ordinamento che comunque si riserva un controllo in quanto è prevista la possibilità per il giudice di diminuire equamente la penale se è eccessiva o se è stata eseguita in parte l’obbligazione, tenendo sempre conto dell’interesse del creditore all’adempimento.

Da ciò capiamo che l’ordinamento valuta con una certa diffidenza l’uso di penali da parte dell’autonomia privata e predilige l’ordinaria funzione risarcitoria.

Vicina alla stipulazione di penali è la possibilità di introdurre le caparre, la cui funzione può essere duplice:

confirmatoria: una parte terrà fede ai propri impegni

penitenziale: la caparre rappresenta il corrispettivo per un eventuale recesso

Se è inadempiente la parte che ha dato la caparra, essa la perderà; se è inadempiente l’altra, dovrà restituire il doppio di quanto ricevuto.

Anche la caparra ha quindi una funzione di costringere le parti all’adempimento, esercitando una coercizione indiretta sulle loro volontà: la parte che data la caparra ha interesse a non perderla, l’altra parte ha interesse a non restituire il doppio. Resta ferma la possibilità per la parte adempiente di chiedere l’esecuzione del contratto o la risoluzione, in altre parole la parte adempiente può scegliere:

il rimedio consensualmente previsto (caparra)

ricorrere alle norme generali di tutela.

Infine ricordiamo la possibilità di esercitare i poteri costitutivi in funzione di tutela. Con questa espressione si intende la possibilità di stipulare clausole o pattuizioni con le quali si stabilisce che, nel caso di inadempimento, la parte adempiente abbia il potere di sciogliere il contratto, senza dover ricorre all’intervento del giudice. Sono i casi della:

clausola risolutivo espressa

termine essenziale

Va aggiunto anche il potere che ha la parte adempiente di diffidare l’altra parte ad adempiere con la minaccia di risoluzione. Tuttavia questo potere è conferito dalla legge non dagli interessati, quindi non riproduce una misura consensuale.

I poteri costitutivi rappresentano forme di risoluzione che si contrappongono alla risoluzione fondata sulla sentenza del giudice. In questi casi la risoluzione dipende direttamente dall’esercizio di un potere di auto-tutela della parte: è quest’ultima a decidere se usarlo o meno; e tale potere è consensualmente concordato.

In tale circostanza il giudice non potrà esercitare il controllo sul merito della previsione ma solo sul presupposto in presenza del quale il potere di auto-tutela può essere esercitato: indagherà quindi, solo se si è realmente verificato l’inadempimento in previsione del quale è stata consensualmente convenuta la clausola risolutiva espressa.

Appare ovvio che, se l’accertamento del giudice avrà esito positivo, la risoluzione sarà provocata comunque dall’atto di esercizio del potere di auto-tutela e non dalla sentenza del giudice.

II giudice non provocherà la risoluzione ma accerterà solo l’inadempimento.

Possiamo affermare in conclusione che il diritto dei contratti è ricco di rimedi consensuali di tutela.

Essi si contrappongono ai rimedi che presuppongono misure coercitive esercitate in via diretta sul patrimonio o nella sfera del soggetto.

Sui rimedi fondati sull’autonomia delle parti possono esercitarsi poteri di controllo del giudice ma non sul merito o sull’opportunità, ma solo sulla presenza dei presupposti che ne giustificano l’impiego.

Note:

l’inadempimento nei casi di risoluzione giudiziale deve essere grave; nei casi di clausola risolutiva espressa, quindi di risoluzione volontaria, saranno le parti a giudicare la gravità.

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