La complicità del terzo nell’inadempimento non può essere assimilata alla lesione del credito ad opera di un terzo: tale lesione infatti consiste in un impedimento frapposto dal terzo all’attuazione del rapporto obbligatorio, impedimento che non incide direttamente sull’attività solutoria del debitore ma si configura invece nei confronti di essa come una causa estranea che esclude a priori la responsabilità del debitore, ponendo però la questione se il terzo risponda del danno.

Diverso è il caso della complicità nell’inadempimento: poiché quest’ultimo è categoria di comportamento propria del debitore, la responsabilità di chi pur sia terzo rispetto al rapporto obbligatorio non può che essere misurata su tale inadempimento.

{Secondo Hans-Joachim Mertens l’inadempiente e il terzo rispondono solidalmente.

Poiché il debitore inadempiente risponde ex contractu, la solidarietà comporta un titolo di pari natura per la responsabilità del terzo: il 1293 infatti non esclude la solidarietà solo quando i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse, non con titoli diversi}.

Ciò si spiega sia seguendo un profilo esterno, nel quale punto di avvio è l’estraneità del terzo rispetto al rapporto obbligatorio, sia da un’ottica interna, nella quale è lo stesso rapporto a segnare la logica alla quale il problema deve essere ricondotto e risolto: quella della relazione tra creditore e debitore.

Il profilo che abbiamo detto esterno mette in luce come il comportamento del terzo complice diventi rilevante unicamente in concorso con quello del debitore: solo con l’inadempimento del debitore nasce il danno per il creditore.

Di un illecito autonomo del terzo non è dato parlare, sicché l’unico modo per dare ad esso forma giuridica è di inscriverlo nel cerchio del rapporto obbligatorio.

Dal punto di vista interno si rileva che, mentre nella lesione del credito il comportamento del terzo si pone come causa estranea che impedisce l’adempimento ma preclude altresì l’inadempimento e la responsabilità del debitore, onde la responsabilità del terzo non può che essere extracontrattuale, nell’ipotesi di complicità del terzo il sicuro ricorrere dell’inadempimento imputabile al debitore esclude che il comportamento del terzo possa qualificarsi alla stregua di una causa estranea: perché inadempimento imputabile e causa estranea sono categorie contraddittorie onde l’esserci dell’una esclude l’altra.

Il terzo inoltre risponde alla stessa stregua del debitore inadempiente, perché l’inadempimento non qualifica il danno come ingiusto nei termini in cui invece lo esige il 2043 ai fini del sorgere della responsabilità aquiliana.

L’inadempimento infatti non estingue l’obbligazione ma all’interno dello stesso rapporto obbligatorio trasforma il debito in responsabilità, mutando solo il titolo e la modalità di realizzazione dell’interesse del creditore; il danno conseguente all’inadempimento è perciò danno meramente patrimoniale.

Tanto questo è vero, che pur dopo l’inadempimento al creditore è consentito di domandare l’adempimento, secondo quanto prevede il 1453 (questo c.d. adempimento è in realtà risarcimento in forma specifica, in alternativa al quale si prevede il risarcimento per equivalente).

Dunque nel caso di complicità nell’inadempimento non si può parlare di lesione del diritto di credito.

Quando l’opera del terzo ricorra ma cospiri con l’inadempimento, inevitabilmente rifluisce in quest’ultimo onde la responsabilità del terzo non potrà che prendere titolo da esso.

{Ciò vale anche nell’ipotesi in cui il debitore, nel lasciarsi sedurre all’inadempimento, si tuteli con una clausola che accolli l’eventuale responsabilità nei confronti del creditore al terzo seduttore: è quanto è accaduto nel caso Texaco-Pennzoil: in esso la Getty Oil Co., nel violare l’accordo con la Pennzoil stipulando un contratto alternativo con la Texaco, aveva ottenuto da quest’ultima una clausola di relevatio dalla responsabilità nei confronti della Pennzoil.

In un’ipotesi del genere non viene meno per il debitore la responsabilità da inadempimento, ma solo il costo ad essa relativo e limitatamente ai rapporti tra debitore e terzo.

I punitive damages sono una misura a carattere sanzionatorio sotto veste di risarcimento; essi sono ignoti al nostro ordinamento ed in genere agli ordinamenti europei, compreso il common law inglese.

Accogliere questa figura significherebbe, tra l’altro, abbandonare il principio avanzato da Oliver Wendell Holmes, secondo il quale l’unico effetto che nasce dal vincolo contrattuale è di rendere responsabile il debitore per l’inadempimento, sicché il debitore avrebbe il diritto di scegliere tra adempiere e risarcire il danno}.

Così come il terzo può violare ab extrinseco il credito subendone la responsabilità, può altresì concorrere nell’inadempimento.

Nel primo caso la responsabilità sarà extracontrattuale perché il terzo tale è rimasto; nel secondo sarà contrattuale perché l’inadempimento, che tale è solo per il debitore, essendo unica fonte di responsabilità per il debitore e per il terzo, rende contrattuale anche quella del terzo.

Sul terreno della teoria del rapporto obbligatorio la responsabilità per inadempimento ha una referenza soggettiva più ampia di quella dell’obbligo di prestazione: risponde dell’inadempimento non necessariamente soltanto il debitore, ma altresì l’eventuale terzo che concorra con il debitore nella (in)attuazione del rapporto obbligatorio.

{In un caso di dolo in un contratto di riporto nel quale il valore dei titoli era stato determinato con riferimento a dati di bilancio risultati del tutto falsi, Trib. Milano 14 febbraio 1910 affermò che la responsabilità degli amministratori autori del bilancio, in quanto concorrente con quella della società, fosse della medesima natura contrattuale}.

La responsabilità contrattuale inserisce un obbligo di risarcimento del danno in luogo del, o accanto al, dovere primario di prestazione, onde non si può dire che l’originario diritto di credito continua ad esistere soltanto con oggetto di prestazione mutato: ciò che continua ad esistere identico a se stesso è il rapporto obbligatorio inteso come rapporto fondamentale, come struttura complessa.

Tra l’obbligo originario di prestazione e il risarcimento si incunea infatti il danno, che quantomeno rappresenta il costo del ritardo e segna il di più e il diverso rispetto all’obbligo di prestazione.

{Cass. S.U. 9407/1987 in materia di pignoramento presso terzi ha affermato che quando la condotta di colui che deve rendere la dichiarazione ex 547 c.p.c. sia altamente reticente od elusiva, ed il ritardo sia direttamente foriero di un conseguenziale pregiudizio aggiuntivo per il creditore esecutante, concorrono i presupposti in presenza dei quali è dato al giudice del merito di applicare i principi sulla lesione del diritto di credito da parte del terzo.

Risulta di primo acchito difficile riferire il modello della lesione aquiliana del credito ad una situazione nella quale il debitore è già inadempiente: va però tenuto presente che il comportamento lesivo del terzo, che rende quest’ultimo responsabile aquilianamente, è tale in quanto incida negativamente sulla attuazione del rapporto obbligatorio, sia nella sua configurazione originaria (obbligo di prestazione) sia in quella successiva all’inadempimento (obbligazione di risarcimento del danno).

Ed infatti nella specie decisa la dichiarazione reticente del terzo aveva reso necessari nuovi accertamenti ad opera del giudice, rivelatisi nocivi alla pronta definizione del processo esecutivo ed al conseguente soddisfacimento del diritto di credito sub specie di responsabilità per inadempimento}.

Come la complicità nell’inadempimento, nel cerchio del rapporto obbligatorio sfuma altresì la figura dell’induzione all’inadempimento: in essa è il terzo a sollecitare l’inadempimento e ciò, oltre a renderla species della più generale complicità, potrebbe far pensare a un diverso configurarsi della responsabilità del terzo.

Anche in questa figura il comportamento illecito del terzo si consuma con l’inadempimento dell’obbligazione da parte del debitore sedotto.

Il punto di vista dal quale inquadrare l’induzione all’inadempimento va ribaltato rispetto a quello che è invalso: non è il tentatore, che con successo ottiene l’inadempimento altrui, a poter essere pensato autore di un illecito autonomo, ma è il preesistente rapporto obbligatorio a segnare la logica secondo cui il terzo risponde, come già abbiamo detto in generale a riguardo della complicità nell’inadempimento.

Ma, sia pure alla stessa stregua del debitore inadempiente, il terzo complice, o addirittura seduttore, risponderà nei confronti del creditore.

Un impulso di realismo giuridico potrebbe allora rigettare come inutile lo sforzo di distinguere responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

Un tentativo più generale viene condotto nella letteratura giuridica al fine di cancellare la distinzione tra le due responsabilità, riconducendole all’unico ceppo dell’illecito.

Ma a prescindere dal fatto che un tale tentativo può giustificarsi solo con una lettura della responsabilità di diritto civile che la veda radicata nella colpa laddove questo non può considerarsi corretto né con riguardo alla responsabilità extracontrattuale, la quale prevede anche criteri oggettivi di imputazione, né con riguardo alla responsabilità per inadempimento, la quale in ogni caso nel nostro ordinamento non è una responsabilità per colpa, l’obiezione perderebbe di vista il punto dal quale abbiamo preso le mosse e cioè la questione se si dia un danno meramente patrimoniale come tale risarcibile ex lege Aquilia.

La risposta da noi conseguita si pone come argomento ulteriore contro l’affermazione di una possibile obliterazione delle diversità tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

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