L’esame della concessione abusiva di credito consente una verifica in tal senso.

Si può parlare solo in due casi di una responsabilità della banca che, continuando a concedere credito ad una impresa, abbia pregiudicato le ragioni dei creditori, a causa del finanziamento trovatisi a condividere l’attivo insufficiente con altri creditori aggiuntisi a seguito della continuazione dell’impresa insolvente:

a. quando la banca ha a sua volta assunto la gestione dell’impresa o partecipato alla stessa;

b. quando gli organi amministrativi della banca hanno concesso il credito nonostante il contrario parere degli organi tecnici.

Tralasciamo la prima ipotesi.

Nella seconda ipotesi il danno è meramente patrimoniale, ma la responsabilità è contrattuale.

Per i creditori di colui che riceve credito dalla banca, non si dà danno senza l’inadempimento del debitore; se si dovrà parlare di comportamento illecito della banca, allora esso va qualificato con riferimento al rapporto obbligatorio del quale impedisca l’attuazione.

La banca, ove non sia fatta rilevare la violazione di obblighi specifici inerenti al proprio stato professionale, viene fatta responsabile per aver cooperato all’inadempimento del debitore, consentendo a quest’ultimo di disattendere il dovere di conservazione della possibilità di adempiere impostogli dal 1176 (Diligenza nell’adempimento).

{Secondo Luigi Mengoni il 1176 generalizza un dovere di sforzo, commisurato alla diligentia diligentis, al fine di conservare le condizioni oggettive della possibilità di adempiere}.

Ciò implica peraltro una prova non agevole, in quanto il danneggiato (creditore) che intenda far valere l’illiceità del comportamento della banca dovrà far risaltare come la concessione del credito abbia accresciuto, in tal modo diventando “abusiva”, il rischio di insolvenza del debitore.

La Cassazione ha rilevato che l’abusiva concessione del credito ad imprenditore potenzialmente insolvente può integrare una probabile lesione e dell’equilibrio del sistema (creditizio) e dei terzi, aggiungendo che il bonus argentarius deve, in ossequio alle regole del proprio stato, impedire che si utilizzi un conto corrente come strumento di inganno dei creditori.

La violazione di queste regole di condotta dà àdito, secondo la Corte, a responsabilità extracontrattuale ed insieme a responsabilità contrattuale, quest’ultima per violazione del rapporto di mandato con la banca danneggiata, che ha messo all’incasso presso la banca mandataria assegni tratti dal cliente su quest’ultima, presso la quale corre il conto corrente.

In realtà di responsabilità extracontrattuale non è coerente parlare, dopo aver affermato la violazione di doveri del proprio stato risultanti da precise disposizioni.

In ipotesi del genere, nelle quali il fatto risulta qualificato dalla violazione di obblighi specifici, la responsabilità deve dirsi di natura contrattuale.

Peraltro non riesce ad acquistare autonoma rilevanza nemmeno la violazione degli obblighi inerenti all’attività professionale svolta, i quali risultano assorbiti dall’inadempimento.

Nel caso di specie non ricorrevano gli estremi della concessione abusiva di credito: questa è infatti categoria di qualificazione di una condotta della banca nei confronti di terzi, la cui posizione creditoria risulti aggravata da affidamenti della banca non più giustificati a causa di un indebitamento del cliente che sia eccessivo rispetto alla situazione patrimoniale di quest’ultimo.

Nella controversia esaminata, invece, a subire il danno è un’altra banca, che non è terzo ma controparte contrattuale in forza di un mandato all’incasso, rispetto al quale la banca mandataria si è rivelata inadempiente.

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