La Costituzione repubblicana, ispirata a criteri legalitari e garantistici, si propose il rafforzamento degli istituti della giustizia amministrativa. Il contesto in cui si è inserita era caratterizzato dalla presenza di due giurisdizioni: quella del giudice ordinario, delineata dalla legge abolitrice del contenzioso del 1865 e quella del giudice amministrativo, nata nel 1889, relativamente alla lesione di interessi legittimi.

La Costituzione contiene importanti norme dedicate alla giustizia amministrativa da cui si desume che il Costituente ha inteso recepire e costituzionalizzare l’evoluzione storica esaminata. Occorre osservare che mentre in tutte le altre parti la Costituzione è stata particolarmente innovativa, in quella dedicata alla P.A. questa innovazione è assente. In realtà che l’aver codificato ed elevato al rango di disciplina costituzionale i principi e gli istituiti della giustizia amministrativa, così come sono andati costituendosi nel corso degli anni, unitamente all’aggiunta di alcuni importanti correttivi, ispirati al criterio di una più piena garanzia delle posizioni giuridiche soggettive, ha dato una valenza giuridica profondamente diversa al vecchio impianto.

Tra le scelte possibili, la costituzione ha accolto espressamente e meglio esplicitato il principio di ripartizione della giurisdizione tra giudicie ordinario e amministrativo, fondato sulla natura della situazione giuridica soggettiva lesa, demandando:

– al giudice ordinario la tutela dei diritti

– al giudice amministrativo la tutela degli interessi legittimi

  • L’art. 24 Cost., infatti, dispone che: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

In quest’articolo è presente un principio di civiltà giuridica molto importante: si afferma che “tutti”, quindi non solo i cittadini ma anche gli stranieri e gli apolidi, possono agire in giudizio per tutelare i loro interessi legittimi e diritti soggettivi. Il principio contenuto all’art. 24 ha due significati:

  1. il titolare del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo, laddove ritiene che sussista una lesione di questa situazione giuridica potrà rivolgersi ad un giudice e quindi ad un organo dotato di terzietà
  2. parte della dottrina ha sostenuto che la garanzia giurisdizionale offerta non solo riconosce a tutti un giudice per la tutela dei propri diritti e interessi, ma esige ed impone che questa tutela sia effettiva, postulando il principio dell’effettività della tutela giuridica, di cui all’art. 113 Cost.

Si tratta indubbiamente di un aspetto che imprime un certo dinamismo all’ordinamento e fornisce al legislatore delle direttive precise. Di fatto tale principio impone al legislatore di creare delle leggi di procedura tali da far si che i diritti soggettivi e gli interessi legittimi siano sostenuti da una disciplina che renda effettiva la tutela stessa.

Questo aspetto dell’art. 24 ha una particolare importanza perché in molti casi il principio dell’effettività non appare assolutamente soddisfatto. Basti pensare alle lungaggini processuali: una giustizia poco tempestiva non può certo dirsi pienamente effettiva della tutela. Tuttavia, anche quando le sentenze giungono in tempi relativamente brevi non sempre esse sono accompagnate da strumenti idonei ad ottenere l’effettivo soddisfacimento della tutela.

Concludendo l’analisi dell’art. 24 non possiamo dimenticare un altro aspetto molto importante: compare nella Costituzione la figura tanto ambigua quanto discussa dell’interesse legittimo. Il Costituente ha quindi voluto riconoscere all’interesse legittimo lo stesso valore, importanza e dignità del diritto soggettivo, spogliandolo di quella caratteristica di “minoranza” che ne aveva fino ad allora caratterizzato la nascita e il successivo sviluppo.

Dall’art. 24 Cost., quindi, si desumono tre elementi fondamentali:

  1. la garanzia giurisdizionale: il titolare di una situazione giuridica soggettiva può sempre chiederne la tutela davanti ad un giudice.
  2. L’effettività della tutela: se la lesione del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo è riconosciuta, l’ordinamento deve predisporre i mezzi affinché vi sia un concreto soddisfacimento
  3. L’equiparazione dell’interesse legittimo al diritto soggettivo che perde il suo carattere di “interesse minore” e diventa situazione giuridica soggettiva piena.

Il co. 2 dell’art. 24 contiene un altro principio fondamentale: “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, cui segue il riferimento al gratuito patrocinio.

La disposizione deve essere letta congiuntamente all’art. 111 Cost. in forza del quale (comma 1) “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. E’ il c.d. principio del giusto processo importato dalle leggi di cammon law e significa che ogni atto autoritativo nei confronti di un cittadino deve essere adottato sulla base di un processo giusto.

Il significato di “giusto processo” è contenuto al co. 2: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

Il giusto processo, dunque, si caratterizza per:

– il rispetto del principio di terzietà del giudice: l’organo giurisdizionale decidente deve essere autonomo ed indipendente rispetto agli altri poteri nonché disinteressato rispetto all’oggetto della causa

– nessun provvedimento potrà considerarsi “sentenza” se il relativo procedimento da cui è disceso non ha rispettato, oltre al principio della terzietà del giudice, il diritto di difesa che, congiuntamente al principio del contraddittorio, rappresentano dei diritti inviolabili.

– Il principio del contraddittorio impone che alle parti sia dato di partecipare al processo e di difendersi, in posizione di sostanziale parità tra loro.

  • L’art. 103 Cost. riconosce la giurisdizione del Consiglio di Stato nelle controversie relative ad interessi legittimi, con la possibilità che “in particolari materie indicate dalla legge” tale giurisdizione si estenda anche ai diritti soggettivi. Si contemplano, accanto al Consiglio di Stato, altri organi di giustizia amministrativa, come la Corte dei Conti, tra cui in seguito alla l. 1034/1971 in connessione con l’art. 125 Cost.) si devono annoverare i TAR.

Viene quindi ribadita la possibilità di spostamento del limite interno di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo a favore di quest’ultimo. La ragione della scelta effettuata si comprende considerando un sistema dove il giudice amministrativo si occupa di questioni diverse da quelle del giudice ordinario.

Sussistono, però, anche dei casi in cui, pur in presenza di atti dell’amministrazione, la legge afferma la giurisdizione del giudice ordinario: si pensi all’art. 152 d.lgs. 196/2003 in tema di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali. Ivi, difatti, è stabilito che tutte le controversie che riguardano l’applicazione della legge sono di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria, con riguardo anche alla cognizione degli interessi legittimi.

Importante è poi il richiamo alla Sent. N. 204/2004 Corte Cost., che ha ridimensionato questo ampliamento, statuendo che la giurisdizione esclusiva può essere introdotta soltanto nelle materie in cui l’amministrazione agisce come autorità, individuando il preciso limite che incontra il legislatore nel delineare le materie devolute alla giurisdizione esclusiva.

  • L’art. 113 Cost. Si occupa espressamente della sindacabilità degli atti della P.A. indicando il tipo di tutela garantita nei confronti degli stessi: “Contro gli atti della P.A. è sempre ammessa tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”.

Da questo inciso si desume che alla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi si fa corrispondere quella tra giurisdizione ordinaria e amministrativa. Il Costituente, quindi, fa proprio il sistema della doppia tutela o “doppio binario” fondato sulla causa petendi.

La disposizione chiarisce nella prima parte che solo l’atto qualificabile come atto amministrativo è soggetto all’art. 113 mentre se l’atto autoritativo ha natura politica sfugge al controllo giurisdizionale ordinario sebbene verrà sottoposto a forme di controllo diverse. Importante è quindi la distinzione tra:

  1. atti politici: espressione della funzione di governo o di indirizzo politico. In particolare sono definiti atti politici quelli in cui si estrinsecano l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e l’attività di coordinamento o di controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca (Sandulli) à NO CONTROLLO GIURISDIZIONALE ORDINARIO
  2. atti amministrativi: CONTROLLO GIURISDIZIONALE ORDINARIO

Sono quindi atti politici quelli che, posti in essere da organi del potere esecutivo, sono connessi con i supremi interessi dello Stato, per la sua vita e la sua sicurezza. Attraverso gli atti politici, quindi, si individuano i fini che lo Stato, in armonia con le previsioni della Costituzione, intende perseguire in un dato momento storico. Ne consegue che la caratteristica fondamentale di tali atti è la libertà nel fine, che consente di cogliere in via immediata la distinzione dalla categoria degli atti amministrativi propriamente detti. Gli atti politici, enucleando essi stessi gli obiettivi fondamentali alla cui attuazione dovrà provvedere anche la P.A., devono armonizzarsi solo con la Costituzione e con le statuizioni in essa contenute.

L’articolo in esame indica l’ampiezza della tutela giurisdizionale nei confronti della P.A. La disposizione, infatti, offre una garanzia non solo in relazione alla controversia nella quale l’amministrazione si pone in una posizione di parità rispetto ai privati, quindi non utilizza i suoi poteri autoritativi, ma anche allorquando questa esplica la sua attività nell’esercizio di poteri autoritativi.

Questa garanzia acquisisce la sua massima estensione al co. 2 art. 113 Cost., nel quale si afferma “la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”. Quindi, non sarebbe costituzionalmente legittima una legge che escludesse o limitasse dal sindacato giurisdizionale una determinata categoria di atti ovvero che escluda o limiti tale tutela a particolari mezzi di impugnazione.

L’ultimo comma dell’art. 113 contiene una disposizione molto importante: “La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della P.A. nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”.

Ricordiamo al riguardo che la LAC agli artt. 4 e 5 sancisce il potere di disapplicazione del G.O. in forza del quale questi, dinanzi ad un atto amministrativo illegittimo, non potrà annullarlo ma solo disapplicarlo. Questo stato di cose è espressione del tradizionale principio della divisione dei poteri per cui da una sua rigida applicazione discendeva che annullare una atto amministrativo equivaleva ad amministrare. L’annullamento, quindi, secondo la tradizione, rientra nella funzione amministrativa e al G.O. non è dato, pertanto, procedere ad un annullamento di un atto amministrativo.

L’art. 113 Cost. al co. 2 contiene quindi una riserva di legge: è la legge a determinare quali organi possano annullare gli atti della P.A. Ciò significa che al legislatore è lasciata discrezionalità sul punto, potendo scegliere di continuare a mantenere in capo al G.A. il potere di annullamento oppure modificare il sistema vigente, introducendo delle norme che consentano anche al G.O. di annullare gli atti amministrativi.

La LAC è conforme alla Costituzione perché rispetta la riserva di legge e tuttavia il Costituente sceglie di non costituzionalizzare il sistema introdotto nel 1865 consentendo al legislatore di modificare le attribuzioni del G.O. ampliandole nella direzione del potere di annullamento degli atti amministrativi. Questo attesta inoltre che secondo il Costituente annullare un atto illegittimo non equivale assolutamente ad amministrare ma bensì ad applicare la legge e quindi rientra a pieno nella funzioni e nei poteri attribuiti al giudice. Annullare non significa amministrare ma applicare la legge.

  • Artt. 103 e 125 Cost.: la costituzione prevede, ma non impone, che “altri organi di giustizia ministrativa (art. 103 co. 1)” vadano ad affiancare il Consiglio di Stato: trattasi dei giudici aventi funzioni affini, ovvero articolati con esso in un unico plesso giurisdizionale. Ai sensi dell’art. 125 Cost., Sono istituiti nella regione “organi di giustizia amministrativa di primo grado“.

L’art. 103 Cost. mantiene inoltre espressamente la giurisdizione della Corte dei conti nelle “materia di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge“: vi è dunque una riserva di giurisdizione per quanto attiene alla contabilità pubblica, mentre spetta al legislatore individuarne altre eventuali o di derogare alla giurisdizione esclusiva della Corte per particolari profili.

  • Art. 102. Cost. vieta l’istituzione di nuovi giudici speciali, ammettendo soltanto che, presso gli organi giurisdizionali ordinari, “vengano istituite sezioni specializzate per determinate materie, con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura“.
  • Art. 111 Cost. oltre ad affermare il principio della riserva di legge in materia di processo, stabilisce che contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso il ricorso per Cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione, mentre avverso le sentenze pronunciate dagli “organi giurisdizionali speciali” è ammesso il ricorso in Cassazione anche per violazione di legge.
  • Art. 117 Cost. Attribuisce la disciplina della giustizia amministrativa alla potestà esclusiva dello Stato.

La Costituzione, invece, non regolamenta i ricorsi amministrativi: di conseguenza, il legislatore può anche non prevedere tali mezzi giustiziali. La Corte Costituzionale ha comunque ritenuto compatibile con la costituzione il principio dell’alternatività del ricorso straordinario al capo dello Stato rispetto a quello giurisdizionale, attesa la volontarietà della scelta dell’interessato.

In sintesi, la Costituzione espressamente contempla, garantisce e disciplina la giurisdizione del giudice ordinario, quelle del giudice amministrativo e dei giudici speciali, mentre nulla dice del mezzo di tutela costituito dai ricorsi amministrativi proponibili davanti alla stessa amministrazione.

L’adeguamento della normativa alla Costituzione non è stato immediato e non è avvenuto in modo lineare. In particolare, il legislatore non ha provveduto alla revisione delle preesistenti giurisdizioni speciali nel termine di 5 anni fissato dalla VI disposizione transitoria e finale della Cost.

Dopo la soppressione delle giunte provinciali amministrative con la l. 1034/1971 furono istituiti i Tribunali amministrativi regionali ai sensi dell’art. 125 Cost. A seguito di tale riforma, il Consiglio di Stato si configura oggi come giudice di secondo grado.

La duplicità di grado nel giudizio amministrativo si è pertanto realizzata per sovrapposizione di un giudice di primo grado al giudice preesistente, invertendo la consequenzialità logica che imporrebbe l’istituzione successiva del giudice di secondo grado.

La l. 205/2000 ha aggiunto diversi ambiti di giurisdizione esclusiva, poi ridimensionata dalla Corte Cost. 204/2004, introducendo modificazioni relative al processo amministrativo

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