Il sistema delineato nell’allegato E della l. n. 2248 del 1865 avrebbe potuto assicurare un’efficace tutela del cittadino dei confronti dell’amministrazione. Sarebbe tuttavia stato necessario attuare in modo adeguato l’art. 3, assicurando al cittadino la piena partecipazione al procedimento attraverso i ricorsi gerarchici. Allo stesso modo sarebbe stata necessaria un’interpretazione della legge in grado di assicurare al giudice ordinario tutti gli spazi di tutela che precedentemente erano stati riconosciuti ai tribunali del contenzioso amministrativo. Nell’interpretazione degli artt. 2 e 3, al contrario, il Consiglio di Stato, chiamato a risolvere i conflitti tra giudici, propose una lettura molto restrittiva dei limiti esterni della giurisdizione del giudice ordinario.

Invece dell’uguaglianza dei cittadini e dell’amministrazione davanti alla legge, in sostanza, si finiva col realizzare un sistema che limitava considerevolmente gli spazi per la tutela giurisdizionale del cittadino. Mantellini, in particolare, identificò nella giurisprudenza del Consiglio di Stato sui conflitti la causa del fallimento della riforma del 1865: tale organo, infatti, escludeva la competenza del giudice civile quando la vertenza riguardava provvedimenti dell’autorità amministrativa, ammettendola esclusivamente in presenza di atti dell’amministrazione emanati a tutela di un interesse personale o patrimoniale dell’amministrazione stessa.

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