L’atto paritetico è un atto unilaterale della pubblica amministrazione non autoritativo e non in grado di degradare i diritti.

Esso, equivalente all’atto posto in essere nei rapporti tra privati, non deve essere impugnato entro il termine di decadenza di 60 giorni: l’azione in giudizio del privato avverso il comportamento lesivo del diritto soggettivo può infatti essere esercitata con ricorso nel termine di prescrizione dello stesso.

Si tratta quindi di atti amministrativi i quali, pur consistendo in manifestazioni di volontà inerenti l’esercizio di un potere pubblico e dotate di una propria autonomia funzionale, non presentano tuttavia carattere autoritativo e quindi non sono in grado di alterare autoritativamente le posizioni giuridiche dei soggetti, che hanno la sola possibilità di far valere nei loro confronti difese analoghe a quelle esercitabili nei confronti degli atti di diritto di comune.

Gli atti paritetici si riscontrano in quei casi in cui l’amministrazione, tenuta tassativamente per legge ad un certo comportamento in relazione ad un dato rapporto di natura patrimoniale, ha, tuttavia, essa stessa il potere di far luogo, unilateralmente, alla definizione del rapporto e quindi alla determinazione dell’entità dei propri obblighi e dei correlativi diritti altrui à es. determinazione di indennità o stipendi.

Successivamente, tra questi atti si sono annoverati anche quelli attinenti alle questioni non patrimoniali, ad esempio alla pretesa a mantenere in particolari circostanze un incarico di insegnamento universitario.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, quindi, distingue a seconda che l’atto impugnato abbia carattere autoritativo o carattere paritetico, affermando che è soggetta a limiti di tempo più brevi la sola impugnativa degli atti autoritativi, mentre nel caso di impugnazione dei c.d. atti paritetici trovano applicazione i normali termini di prescrizione del diritto stabiliti dalla legge.

La figura dell’atto paritetico, quindi, consentiva di temperare le regole del processo amministrativo di impugnazione, pur mantenendo salva l’impalcatura: il cittadino poteva impugnare l’atto paritetico, non già entro il termine di decadenza, bensì entro il ben più lungo termine di prescrizione. Con l’annullamento dell’atto paritetico, proprio perché si riconosceva l’inesistenza del potere, il giudice veniva di fatto a definire i rapporti tra cittadino e P.A. à sentenza di accertamento.

La situazione descritta si è protratta fino all’entrata in vigore della legge TAR che all’art. 26 ha riconosciuto il potere del G.A. di emettere sentenze di condanna dell’amministrazione al pagamento delle somme di cui risultasse debitrice.

L’introduzione della sentenza di condanna, quindi, ha significato un ulteriore arricchimento dei poteri del G.A. in sede di giurisdizione esclusiva. Infatti nella sentenza di condanna vi è comunque un aspetto di accertamento e ciò ha comportato che di fatto il giudice non ritenesse più di dover restare vincolato allo schema del giudizio di impugnazione, sia pur temperato dall’introduzione dell’atto paritetico.

La conclusione di tale percorso è stata che il giudice ha cominciato a pronunciare sentenze di accertamento, nelle quali statuiva direttamente sui rapporti tra le parti senza alcun tramite di un atto amministrativo.

Nonostante tale sviluppo, lo schema delle sentenze amministrative in sede di giurisdizione esclusiva non è mutato di molto rispetto allo schema tipico delle sentenze su azioni di impugnazione. Il G.A., infatti, ha continuato a pronunciare sentenze nelle quali il dispositivo è scarsamente articolato, limitandosi di solito all’accoglimento del ricorso. Appare difficile in queste sentenze individuare con precisione il diritto che si accerta e ancor meno l’importo esatto della somma al pagamento della quale l’amministrazione è tenuta.

Questo comporta che anche nei confronti delle sentenze pronunziate in sede di giurisdizione esclusiva lo strumento di esecuzione più efficace rimane il giudizio di ottemperanza, pur essendo in teoria utilizzabile anche il giudizio di esecuzione forzata, posto che la sentenza di condanna costituisce titolo esecutivo. Tuttavia il titolo esecutivo, per essere tale, deve consentire di comprendere esattamente il contenuto del comando del giudice e di attuarlo attraverso un’attività meramente esecutiva: le sentenze del G.A., invece, richiedono una vera e propria interpretazione, possibile solo attraverso il giudizio di ottemperanza.

La giurisdizione esclusiva ha visto, negli anni successivi, arricchito il proprio strumentario processuale attraverso due interventi della Corte Costituzionale:

  • Sent. 190/1985 con la quale è stata introdotta nel processo amministrativo la tutela cautelare innominata, prevista dall’art. 700 c.p.c. La Corte, sollecitata dai TAR, ha preso coscienza dell’insufficienza della tutela cautelare ordinaria, limitata alla sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato. Nel momento in cui, infatti, non si impugna un provvedimento amministrativo, la tutela offerta dalla sospensione risulta priva di alcuna utilità. La Corte, pertanto, ha introdotto, in sede di giurisdizione esclusiva e con riferimento al giudizio in materia di P.I. che costituiva l’ipotesi più importante e significativa, la possibilità per il giudice di pronunziare qualunque tipo di provvedimento cautelare ritenga più idoneo ad evitare che la posizione giuridica del ricorrente, possibilmente vittorioso, possa essere pregiudicata dalla durata del giudizio.
  • Sent. 146/ 1987 con la quale la Corte Costituzionale, sempre con riferimento alla giurisdizione in materia di P.I., ha introdotto nel processo amministrativo tutti i mezzi di prova previsti per il processo del lavoro e, tra essi, in particolare, la prova testimoniale, come la più significativa.

Nel corso degli anni, la disciplina della giurisdizione esclusiva ha subito, per opera di interventi legislativi, talune modificazioni, non tanto di carattere processuale, quanto relative alle materie che in essa rientravano:

  • La legge TAR, all’art. 5, ha ampliato i casi di giurisdizione esclusiva ricomprendendovi le ipotesi di concessione di beni e di servizi, ad eccezione dei profili di carattere patrimoniale relativi ai canoni e ai corrispettivi.
  • La l. 10/1977 ha previsto la giurisdizione amministrativa esclusiva in materia edilizia.
  • Una innovazione particolarmente incisiva si è avuta attraverso il d.lgs. 80/1998 che ha in parte ridotto e in parte ampliato l’ambito della giurisdizione esclusiva. È stata sottratta al G.A. la giurisdizione esclusiva come giurisdizione generale in materia di P.I.

Se il rapporto di P.I., infatti, è disciplinato da atti e norme di diritto privato, viene meno la ragione di attribuire le relative controversie al G.A.

Rimangano alla giurisdizione amministrativa solo taluni tipi di rapporto di lavoro esclusi dalla c.d. privatizzazione nonché le controversie che, benché relative al P.I. concernono però l’organizzazione degli uffici, i pubblici concorsi e l’attribuzione degli incarichi dirigenziali. Si tratta di situazioni nelle quali, evidentemente, il legislatore ritiene che sussistano poteri amministrativi che vengono esercitati mediante l’adozione di veri e propri provvedimenti.

Sottratta al G.A. la giurisdizione esclusiva in materia di P.I., il d.lgs. 80/1998 ha però attribuito allo stesso giudice altri importanti casi di giurisdizione che riguardano i settori più importanti e significativi dell’attività amministrativa.

1) Il primo settore è quello dei servizi pubblici, dovendosi ritenere compresi in questa materia non solo i servizi di pubblica utilità di cui alla l. 481/95, cioè i servizi di erogazione dell’acqua, del gas e dell’elettricità, ma anche i servizi afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni. L’attribuzione della giurisdizione vale anche se i servizi sono forniti non da un ente pubblico, ma da una società mista o da un privato concessionario, purché il servizio, l’appalto o la fornitura vengano resi nell’applicazione delle norme comunitarie o della normativa statale e regionale. Non rientrano in questa giurisdizione i rapporti individuali di utenza del cittadino con soggetti privati; le controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno biologico; le controversie in tema di invalidità civile.

2) Oltre alla materia dei servizi pubblici, è stata attribuita alla giurisdizione esclusiva del G.A. ogni controversia relativa all’urbanistica e all’edilizia, e cioè tutte le controversie relative al governo del territorio, ivi compresa la tutela del paesaggio, la tutela dei beni storici e artistici e la tutela dell’ambiente. Questa giurisdizione non si estende alle controversie che vedono coinvolti esclusivamente privati, essendo sempre e comunque giustificata dal fatto che una delle parti necessarie in causa è la P.A. Rimane estranea alla materia dell’urbanistica e dell’edilizia la materia dell’espropriazione e la materia rientrante nella giurisdizione del Tribunale delle Acque.

3) nella giurisdizione esclusiva rientrano le controversie in tema di diritto d’accesso agli atti della P.A., laddove si voglia qualificare la relativa posizione come posizione di diritto soggettivo à posizione ribadita dalla l. 15/2005. La giurisdizione esclusiva del G.A. è stata confermata dalla l. 205/2000 nonché, successivamente dal TU in materia di espropriazione per pubblica utilità (DPR 327/2001).

Il quadro normativo, però è stato recentemente sconvolto dall’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza 204/2004, ha dichiarato la parziale incostituzionalità degli artt. 33 e 34 del d.lgs. 80/98, come modificati dall’art. 7 l. 205/2000, nella parte in cui devolvono alla giurisdizione esclusiva del G.A. la materia dei servizi pubblici, complessivamente intesa, e le controversie concernenti l’edilizia e l’urbanistica che coinvolgono meri comportamenti della P.A.

Secondo la Corte, infatti, in relazione all’art. 33 del d.lgs. 80/98, l’incostituzionalità deriva dal generico riferimento alla materia dei servizi pubblici, che prende in considerazione tutte le controversie connesse a tale settore, fondando la giurisdizione amministrativa solo sulla mera sussistenza di un interesse pubblico e tralasciando, così, la natura della posizione giuridica da tutelare.

Le materie che possono essere devolute alla giurisdizione esclusiva devono essere caratterizzate dalla circostanza che la P.A. agisce come autorità.

Per quanto attiene, invece, l’art. 34 la Consulta ha ritenuto la norma incostituzionale laddove estende la giurisdizione esclusiva del G.A. alle controversie in materia di edilizia ed urbanistica che hanno ad oggetto comportamenti della P.A., anche nei casi in cui non esercita alcun un potere pubblico, ma al contrario, agisce come un qualsiasi soggetto privato, utilizzando strumenti privatistici: secondo la Corte tali controversie sono da devolvere al GIUDICE ORDINARIO, perché il TAR e il C.d.S. possono ritenersi competenti solo laddove si verta nell’esercizio di poteri pubblici.

La sentenza della Corte Costituzionale ha interamente riscritto il testo normativo ed è motivata con la considerazione che, ad avviso della Corte, la previsione costituzionale della possibilità di istituire ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A. è riferita non solo a materie particolari, ma altresì a materie che devono essere caratterizzate da un intreccio tra posizioni private e potere amministrativo.

L’estensione della giurisdizione esclusiva operata da tali norme si scontrerebbe inevitabilmente con i criteri ai quali, ai sensi dell’art. 103 Cost., deve ispirarsi il legislatore quando voglia riservare una particolare materia alla giurisdizione esclusiva. In sostanza queste disposizioni avevano delineato materie dai confini troppo estesi, radicando la giurisdizione sul mero dato del coinvolgimento di un pubblico interesse.

L’orientamento della Corte è stato confermato dalla successiva sent. 191/2006 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53 TU sull’espropriazione laddove, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie relative ai comportamenti della P.A. in materia di espropriazione per pubblica utilità, non esclude da quella giurisdizione i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere.

La Cassazione ha concepito in senso restrittivo l’area di giurisdizione del G.A., annettendo a quella del GIUDICE ORDINARIO le controversie caratterizzate dal fatto che la dichiarazione fosse nulla o divenuta inefficace.

Sono quindi devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie riguardanti comportamenti riconducibili anche in via mediata all’esercizio del potere.

Le suddette sentenze della Corte Costituzionale sembrano destinate a segnare la conclusione di un’epoca caratterizzata da una estensione sempre maggiore della giurisdizione esclusiva. Per questo aspetto, dopo un periodo di intense innovazioni legislative, l’assetto della giurisdizione amministrativa dovrebbe aver raggiunto una maggiore stabilità.

Le materie di giurisdizione esclusiva sono previste, oggi, nell’art. 133 del nuovo Codice che, sul punto, non contiene, tuttavia, novità di rilievo rispetto a quanto in precedenza previsto dalla legislazione. Si tratta semplicemente di un elenco, molto articolato ed eterogeneo, che chiarisce ed esplicita l’ambito della giurisdizione esclusiva.

Rientrano poi nella giurisdizione esclusiva le controversie concernenti:

  1. I contratti con le amministrazioni: relative a procedure di affidamento, o rinnovo dei contratti, relative a pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti tenuti all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale.
  2. Le Authorities: aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d’Italia, dalla Commissione nazionale per la società e la borsa, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ecc.
  3. All’espropriazione e ai poteri ablatori della P.A.: aventi oggetto atti, provvedimenti, accordi e comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità ferma restando la giurisdizione del GIUDICE ORDINARIO per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione dell’indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o applicativa.
Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento