La formazione dello Stato modernamente inteso è compresa in un arco temporale che va dal XVI secolo allo Stato Borghese dell’Ottocento.

Nel corso di tale evoluzione si assiste a tre fenomeni:

1) il gruppo sociale diventa nazione e si identifica con tutti gli appartenenti ad una stessa comunità accomunata dalla stessa cultura, lingua, abitudini sociali e, spesso, fede comuni;

2) la nazione si stabilisce su un territorio sul quale si svolge la vita associata;

3) l’organizzazione che governa la comunità diviene sovrana detenendo il potere di governo sulla stessa.

Quasi ovunque si assiste al consolidamento dello Stato e, nel corso dell’Ottocento, le classi sociali borghesi, con mutamenti graduali o con rivoluzioni, reclamarono l’autorità di governo della comunità.

Fu così che si giunse all’adozione delle Costituzioni cd. borghesi, contenenti norme relative all’organizzazione e al funzionamento dello Stato e con le quali si introdusse il principio della separazione dei poteri, in virtù del quale la funzione normativa viene attribuita ad un organo elettivo (Parlamento) rappresentativo della nazione, i ceti borghesi; la cura degli interessi generali della comunità, affidata all’attività di governo, viene subordinata alla legge (principio di legalità); la funzione giurisdizionale viene affidata ad organi indipendenti dall’esecutivo e sottoposti solo alla legge.

Il nostro Stato unitario si forma, come noto, nel 1861, per effetto dell’aggregazione, al Regno di Sardegna di una serie di Stati che, per secoli, avevano governato la Penisola. Sul piano delle istituzioni amministrative, in attesa di future leggi di unificazione, vengono estese a tutto il territorio nazionale le leggi sardo-piemontesi. Il diritto amministrativo del Regno d’Italia trae la sua origine dal diritto vigente nel Regno di Sardegna, caratterizzato da un sistema-amministrativo fortemente accentrato in cui gli affari di amministrazione erano sottratti alla giurisdizione comune e affidati alla cognizione degli organi speciali del contenzioso amministrativo, anch’essi, comunque, inseriti nell’apparato amministrativo.

I settori dell’organizzazione, dell’azione e della giurisdizione, subiscono ima profonda evoluzione nelle successive vicende relative al nostro ordinamento: dopo il periodo fascista, la progressiva democratizzazione del sistema politico rafforzatasi con la Costituzione della repubblica italiana (1948) e, di recente, la (quasi) piena attuazione dei

principi costituzionali da parte della legislazione positiva, e la progressiva recezione di principi comuni agli altri stati membri dell’Unione europea.

– Prima fase: un primo livello di evoluzione attiene all’organizzazione amministrativa e riguarda il passaggio dall’accentramento al decentramento. Si tratta, in realtà, di un fenomeno relativamente recente, successivo all’avvento della Costituzione, ma che ha subito una decisiva spinta con la L. cost. 3/2001 e con le leggi ordinarie cd. “di contorno”.

II principio dell’ accentramento, che ha caratterizzato il nostro paese, dall’unificazione fino all’avvento della Costituzione, ed è stato massimo nel periodo del fascismo, può essere così descritto nei suoi tratti essenziali: l’amministrazione dipende dal Governo, che si articola in una serie di ministeri, al vertice di ciascuno dei quali si pone il ministro quale autorità politica; l’amministrazione a livello periferico è strutturata in prefetture, che costituiscono il Governo di ciascuna provincia, con compiti di amministrazione generale, vigilanza e controllo sugli enti locali. E’ stato questo – ovviamente con i necessari adattamenti agli sviluppi del sistema amministrativo del nostro Paese – sostanzialmente, il modella di amministrazione fino all’avvento della Carta costituzionale.

Con la Costituzione si affermano il principio del decentramento e dell’autonomia locale, quali cardini della nuova organizzazione statale, che vede il sistema, di governo articolato in una struttura pluralistica: accanto allo Stato si pongono una serie di atti del governo territoriale, cui è riservato espressamente un ambito di governo loro proprio. Disegno che viene completato con la L. cost. 3/2001 la quale modifica la Costituzione, prevedendo un insieme di enti di governo tra loro equiparali e differenziati solo con riferimento alla comunità amministrata e per la differente dimensione degli interessi coinvolti. Parallelamcnle, scompaiono gli istituti e gli organi un tempo deputati alla vigilanza e al controllo del governo sugli enti locali, i quali vengono ad essere direttamente responsabili dell’azione di governo nei confronti della propria comunità.

In questa prima fase, dunque, si assiste ad un ribaltamento della prospettiva e del concetto di amministrazione: il primato assoluto della legge, quale fonte di ogni disciplina dell’amministrazione, viene ad essere frantumato in una pluralità di fonti del diritto dell’amministrazione, in gran parte emanate dagli stessi organi dell’amministrazione.

– Seconda fase: il secondo aspetto dell’evoluzione del sistema di amministrazione concerne la sua attività mediante atti giuridici produttivi di effetti: si passa dall’ atto amministrativo alla funzione amministrativa.

L’atto amministrativo nasce come atto giuridico munito di particolare efficacia quando agisce nell’ambito dell’esercizio della propria autorità (appalto per la costruzione di una strada, gestione di spazi demaniali, consentire il taglio di un bosco); al di fuori di tale ambito, l’amministrazione può svolgersi anche facendo ricorso ai consueti strumenti di diritto comune.

Successivamente, il concetto di atto amministrativo si evolve, ad opera degli interventi della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della dottrina, nel senso di atto di esercizio della funzione amministrativa dotato di autorità; in secondo luogo, avanza l’idea secondo cui l’atto amministrativo, quale esercizio dell’autorità, sia rigidamente disciplinato (dalla legge) a pena d’invalidità, per cui si ritiene che la violazione delle norme ad esso relative vada fatta valere dinanzi agli organi deputati alla tutela nei confronti dell’amministrazione (che, col tempo, diventeranno veri e propri organi giurisdizionali).

Attraverso un’ulteriore lenta evoluzione, la giurisprudenza fa spazio all’idea che l’atto amministrativo sia una strumento finalizzato alla tutela-di interessi generali e destinato a perseguire determinati fini (stabiliti dalla legge), con la conseguente esigenza di conformare la stessa azione dell’amministrazione al perseguimento di questi interessi, secondo le forme stabilite dall’ordinamento. Di qui, i concetti moderni di discrezionalità e procedimento: concetti relativi, rispettivamente, all’attività preparatoria dell’atto, in cui grande rilevanza assumono i motivi dell’azione, e alla predeterminazione di una serie di atti e fatti tra loro connessi e finalizzati al raggiungimento di un risultato che si concretizza nell’atto finale.

Il provvedimento amministrativo, alla luce delle elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali si pone quale atto giuridico soggetto ad una disciplina differenziala rispetto a quella di diritto comune e concernente la sua attività preparatoria, l’efficacia e validità, la relativa tutela (giurisdizione amministrativa). Ciò deriva dall’esigenza di tutelare i terzi, titolari di interessi protetti dall’ordinamento, nei confronti di determinate manifestazioni dell’agire amministrativo (art. 97 C).

– Terza fase: l’ultima linea evolutiva è quella concernente il passaggio dal contenzioso alla giurisdizione amministrativa.

Durante la fase dei regimi monarchici, era interesse dei sovrani sottrarre agli organi giudiziari la cognizione degli affari contenziosi riguardanti parte dell’amministrazione, per affidarli ad altri organi di diretta emanazione regia. Il principio della separazione tra amministrazione e giurisdizione si afferma con le leggi rivoluzionarie per consolidarsi nel periodo napoleonico attraverso il sistema degli organi del contenzioso amministrativo. Si attua, così, l’attribuzione esclusiva delle controversie tra privati ai tribunali ordinari, mentre con la legislazione napoleonica del 1806 vengono istituiti appositi organi, cui vengono attribuite competenze con riferimento alla soluzione di controversie con le pubbliche amministrazioni.

Questo sarà il sistema adottato dalla maggior parte dei nostri Stati preunitari e, particolarmente, dal Regno di Sardegna. Con la riforma del 1859, i Consigli di governo, istituiti in ogni provincia, sono “i giudici ordinari “del contenzioso amministrativo”; il Consiglio di Stato si pronuncia in secondo grado, nonché, per determinate materie, “in prima ed unica istanza”.

Con tale ripartizione, i giudici del contenzioso vengono ad essere disciplinati come organi giurisdizionali a tutti gli effetti e le loro sentenze producono gli stessi effetti e sono munite della stessa esecutorietà di quelle dei tribunali civili, ciò per espressa previsione di legge.

Le attribuzioni degli organi del contenzioso non sono propriamente quelle che saranno poi attribuite alla giurisdizione amministrativa, poiché gran parte delle controversie di competenza dei giudici del contenzioso erano su diritti che poi, con la legge del 1865, sarebbero state attribuite ai giudici ordinari.

Con la legge del 20 marzo 1865 sono aboliti i Tribunali del contenzioso e le relative competenze con le pubbliche Amministrazioni concernenti i diritti civili e politici vengono attribuiti ai tribunali ordinari.

Al Consiglio di Stato restano attribuite residue competenze attraverso le quali esso comincia ad elaborare una serie di principi che, poi, diverranno caratterizzanti la sua giurisprudenza.

Il nuovo sistema di tutela dei cittadini nei confronti dell’amministrazione, così come delineato dalla riforma, si fonda sull’attribuzione della tutela dei diritti alla cognizione dei tribunali ordinari secondo le regole del diritto processuale comune. La lesione di un diritto, idonea ad attivare la tutela giurisdizionale, può derivare da un atto anche autoritativo, ma la cognizione del giudice deve limitarsi all’accertamento dell’avvenuta lesione del diritto e al risarcimento di esso a carico dell’amministrazione, potendo soltanto disapplicarlo. Spetta esclusivamente all’amministrazione procedere ad un successivo annullamento dell’atto, ovvero procedere all’adozione di altre misure idonee a conformarsi al giudicato.

La ricaduta effettiva di detta riforma fu, in sintesi, questa: la gran parte delle controversie rimasero prive di tutela giurisdizionale con una progressiva limitazione della tutela per i cittadini- nei confronti dell’ amministrazione. Ciò produsse una evoluzione del nostro sistema nel senso di un ritorno al sistema del contenzioso amministrativo, questa volta su basi differenti.

Si avvertì l’esigenza di dotare lo Stato di organi di giustizia amministrativa autonomi e indipendenti, con poteri di cognizione piena in relazione agli affari di amministrazione sia con riferimento alla lesione di diritti, che con riferimento a semplici interessi dei cittadini – meritevoli di tutela — sacrificati per un esercizio illegittimo del potere da parte dell’amministrazione.

Attraverso sviluppi complessi, caratterizzati da avanzamenti e ritorni, si giunse, a partire dal secondo decennio del ‘900, ad una costruzione fondata sull’affermazione che il diritto soggettivo, a fronte dell’esercizio del potere amministrativo, degrada ad interesse legittimo in conseguenza dell’imperatività dell’atto di esercizio del potere.

Conseguentemente, la tutela viene ad essere affidata al giudice amministrativo, poiché non si verte più in materia di diritti soggettivi. attraverso il ricorso per l’annullamento dell’atto lesivo, cui è subordinato il risarcimento. Importante novità fu l’istituzione della giurisdizione amministrativa esclusiva in determinate materie (1923), caratterizzata dal fatto che la cognizione del giudice amministrativo era estesa alle controversie concernenti diritti ed interessi.

All’esito di questo lungo processo evolutivo, la figura del giudice amministrativo viene a delinearsi come tendenzialmente estesa all’intero ambito delle controversie con le pubbliche amministrazioni, mentre al giudice ordinario restava la competenza in materia di controversie risarcitorie.

Con l’avvento della Costituzione, nulla viene innovato nel riparto tra le due giurisdizioni negli affari di amministrazione. Piuttosto, si afferma il principio della piena tutela giurisdizionale degli interessi legittimi (art. 24 Cost).

Neppure la riforma del 1971, istitutiva dei T.A.R., ha intaccato il modello costituzionale di riparto della giurisdizione.

Solo di recente, con la L. 205/2000, il nostro sistema di giustizia .amministrativa viene innovato nella direzione dell’attuazione del principio costituzionale della pienezza della tutela giurisdizionale anche nei confronti della pubblica amministrazione. Con questa importante riforma, la tutela delle situazioni soggettive nei confronti delle amministrazioni davanti al giudice amministrativo acquista chiaramente il carattere di tutela giurisdizionale piena in attuazione dell’art. 24 Cost.

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