Nel processo amministrativo l’ istruttoria ha un ruolo meno importante di quello che essa ricopre nel processo civile: ciò si spiega in considerazione del fatto che la maggior parte delle cause dinanzi al Tar può essere decisa senza che il giudice debba assumere prove (ad es., se denuncio un vizio di incompetenza del provvedimento impugnato, è sufficiente che il giudice metta a confronto questo provvedimento con la norma o le norme che stabiliscono la competenza dell’ organo).

Tutto ciò in linea generale, perché possono comunque esserci ipotesi in cui un’ istruttoria è necessaria: si pensi, ad es., al provvedimento con cui il comune ordina la demolizione di una parte di un manufatto edilizio, perché ritiene sia stato realizzato dal proprietario dopo che era stata intimata la sospensione dei lavori; l’ interessato, invece, impugna il provvedimento sostenendo che quella parte era stata realizzata prima che intervenisse la sospensione (e che, di conseguenza, la norma invocata dall’ amministrazione non è applicabile al caso concreto). In tale ipotesi, il contrasto tra le due posizioni può essere risolto soltanto attraverso un accertamento che si avvale di documentazione fotografica, di perizia e di prova testimoniale (ad es., la testimonianza degli operai che hanno lavorato alla costruzione).

Detto ciò, è necessario sottolineare che, nel processo amministrativo, la questione della prova sorge in relazione ad un fatto; pertanto, quando il fatto non viene in rilievo, come accade, di regola, nel giudizio di legittimità [in cui non viene contestato il fatto (ad es., il provvedimento impugnato) ma la sua legittimità], non è richiesta nessuna prova (questo ragionamento si giustifica in virtù del fatto che la prova non può avere ad oggetto giudizi di valore; e la qualificazione di legittimità-illegittimità è un giudizio di valore: in tal senso Ruffo).

A questo punto, dobbiamo chiederci quando il fatto viene in rilievo. Il fatto viene in rilievo quando il provvedimento impugnato (ad es., una sanzione disciplinare) è fondata su un fatto (un illecito disciplinare), la cui esistenza è contestata dal ricorrente: in tal caso, può essere necessario acquisire una prova.

In questa prospettiva, l’ art. 63 c.p.a., parzialmente innovando rispetto al regime precedente, prevede e disciplina i seguenti mezzi di prova:

• la richiesta di chiarimenti alle parti;

• l’ ordine di esibire (in giudizio) documenti o quant’ altro il giudice ritenga necessario;

• l’ ispezione, che consiste in un sopralluogo su cose o indagini su persone (avente finalità soprattutto descrittiva);

• la prova testimoniale, che è ammessa soltanto su istanza di parte e che deve essere sempre assunta in forma scritta (ciò costituisce una rilevante differenza rispetto al processo civile e al processo penale);

• l’ ordine di verificazione [verificazione che deve essere effettuata da un organismo verificatore (di norma, un organo pubblico non appartenente all’ amministrazione resistente)]; in particolare, questo mezzo di prova trova applicazione qualora il giudice reputi necessario l’ accertamento di un fatto ovvero l’ acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche (ad es., per accertare se un determinato elemento chimico immesso nell’ atmosfera dall’ impresa ricorrente è inquinante o meno);

• la consulenza tecnica, che è ammessa negli stessi casi previsti per la verificazione e sempre che il giudice la ritenga indispensabile; è bene precisare, però, che l’ art. 63 c.p.a., pur accomunando la verificazione e la consulenza tecnica, stabilisce, in realtà, una sorta di graduazione tra i due mezzi di prova: nel senso che, in prima battuta, deve essere esperita la verificazione e, solo se indispensabile, può essere disposta la consulenza tecnica.

La competenza a disporre i mezzi di prova è ripartita tra il presidente (o un magistrato da lui delegato) e il collegio; va detto, tuttavia, che la consulenza tecnica e le verificazioni si sottraggono a tale regola, perché esse possono essere ammesse solo dal collegio.

Appare utile ricordare, infine, la distinzione tra l’ ammissione della prova (che è l’ atto con il quale il mezzo istruttorio viene disposto), l’ assunzione della prova (ossia il suo espletamento: ad es., la formulazione dei quesiti) e la valutazione della prova [il giudice in particolare, deve valutare la prova secondo il suo prudente apprezzamento (che lo porta, ad es., a giudicare un teste più o meno attendibile) e può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo (può, ad es., trarre argomento dalla resistenza opposta dall’ amministrazione al rilascio delle informazioni e dei documenti ritenuti dal giudice utili ai fini del decidere)].

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