Il Codice Civile, all’art. 1321, definisce il Contratto come l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.

Da esso nascono i seguenti effetti:

effetti obbligatori che costituiscono vincoli per le parti impegnate nel contratto (Es. mandato, ecc.);

effetti reali che costituiscono o trasferiscono diritti reali su beni mobili e/o immobili (Es. compravendita, ecc.).

effetti legali tipici che sono quelli previsti dalla stessa legge nel Codice.

In un contratto le parti sono gli elementi contrapposti che si incontrano per perseguire i propri interessi commerciale ed economici. Per parte non si intende soltanto un solo soggetto ma anche l’insieme di due o più soggetti che mirano ad uno stesso interesse comune.

Oltre alle parti, in un contratto distinguiamo anche il soggetto oblato, cioè colui che non è ancora impegnato da un vincolo contrattuale obbligatorio ma è comunque il soggetto con cui si cerca di definire e perfezionare il futuro contratto.

Il contratto è la fonte per eccellenza di obbligazione tra i negozi giuridici tanto che è l’unico ad essere descritto e definito interamente dal Codice Civile, a differenza di tutti gli altri negozi giuridici, trovando la più ampia e completa disciplina normativa.

Esso rappresenta la manifestazione di libertà dell’iniziativa economica privata prevista, anche, dall’art. 41 Cost., garantendo la parità di trattamento anche fra soggetti economicamente e socialmente differenti e lontani.

Le uniche forme di limitazione all’iniziativa contrattuale privata sono date dall’ordinamento giuridico stesso per i soli casi di tutela e salvaguardia dell’interesse pubblico necessariamente e scrupolosamente superiore a quello privato.

L’autonomia contrattuale privata è riconosciuta con forza di legge dall’art. 1322 cod. civ. che sancisce la piena libertà dei contenuti di un contratto nei limiti imposti dalla legge.

Le parti sono sottoposte all’osservanza assoluta sia delle norme imperative sia di quelle precettuali dalle stesse dettate.

Tuttavia l’efficacia vincolante delle norme private, sotto forma di precetti, è totalmente diversa da quella della legge dello Stato per diversi motivi:

  1. i precetti privati sono subordinati alle norme imperative;
  2. i precetti privati sono specifici e non astratti;
  3. i precetti privati hanno efficacia limitatamente alle parti interessate e non a carattere generale (art. 1372 cod. civ.).

A norma dell’art. 1322 cod. Civ. l’autonomia contrattuale privata è talmente ampia che le parti possono:

– prendere o meno parte al contratta secondo la propria volontà (autonomia di contrarre);

– impegnarsi come si preferisce entro i limiti imposti dalla legge (libertà contrattuale).

I contratti sono una forma di manifestazione della volontà privata di uso talmente ampio e di vitale importanza che l’esperienza quotidiana ci porta ad applicarne molte fattispecie senza neanche accorgercene.

Le tipologie di contratto si distinguono in:

  1. contratti tipici, o nominati, sono quelli che vengono previsti e disciplinati direttamente dal Codice Civile e pertanto trovano un normativa tutta specifica e settoriale (Es. compravendita, locazione, mutuo, ecc.);
  2. contratti atipici, o innominati, sono, invece, tutte quelle forme contrattuali che non trovano alcuna menzione nel nostro Codice Civile e pertanto vengono disciplinati secondo la normativa di contratti nominati similari, a norma dell’art. 1323 cod. civ., o con leggi speciali appositamente promulgate (Es. franchising, leasing, ecc.).

In entrambi i casi, dice l’art. 1322 cod. civ., le parti devono perseguire dei fini meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico e non contrari a norme imperative, al buon costume e all’ordine pubblico, così come recita l’art. 1354 cod. civ..

L’art. 1325 cod. civ. individua gli elementi essenziali per la costituzione di un contratto:

  1. l’accordi tra le parti;
  2. la causa;
  3. l’oggetto;
  4. la forma, quando è richiesta dalla legge sotto pena di nullità;

La loro presenza, essendo elementi essenziali e richiesti dal Codice Civile, è requisito di validità del contratto in tutta la sua interezza.

Per giungere all’accordo, in un contratto, è necessario che ci siano due manifestazioni di volontà da parte delle parti:

– la proposta che consiste nella dichiarazione di voler contrarre da destinarsi ad un preciso soggetto e contiene tutti gli elementi essenziali e qualificanti del futuro rapporto contrattuale;

– l’accettazione è una dichiarazione diretta al proponente in maniera definitiva, incondizionata e pienamente conforme alla proposta, altrimenti non si configura come accettazione ma come nuova proposta (art. 1326 cod. civ.).

Molto importante è il momento e il luogo dell’avvenuta accettazione delle condizioni di contratto e, quindi, della perfezione dello stesso:

– il luogo stabilisce la sede giudiziale competente in caso di eventuali insorgenze di complicazioni e contestazioni;

– il tempo, definisce il criterio di applicazione della legge e delle varie norme imperative cronologicamente efficaci ed applicabili.

Il contratto può anche essere perfezionato tramite soggetti terzi allo stesso o anche a notevole distanza tra le parti interessate.

In questi casi, a norma dell’art. 1326 cod. civ., il contratto si perfeziona nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione della controparte.

Di notevole difficoltà è la fornitura della prova della presa conoscenza dell’accettazione, della proposta, di ogni altra loro modifica e revoca.

In tal senso vengono disciplinate dall’art. 1335 cod. civ. in modo presunto (presupposizione legale di conoscenza) nel momento in cui queste giungono all’indirizzo del destinatario, salvo che questo dimostri di non essere stato in grado di prenderne conoscenza per motivi non dipesi dalla propria volontà.

Inoltre, l’art. 1336 cod. civ., prevede anche una forma di offerta al pubblico in cui l’interessato descrive tutti i principali elementi costitutivi di quel contratto lasciando al pubblico stesso eventuali accettazioni.

In determinati casi e in determinate circostanze il contratto non si perfeziona con la sequenza proposta-accettazione, che rimane comunque la principale sequenza di perfezionamento contrattuale e la più efficace e sicura forma, ma si perfeziona con sequenze alternative.

Tra le diverse sequenze riconosciute le più importanti sono:

proposta–esecuzione: in questa sequenza non esiste una vera e propria accettazione formale da parte dell’accettante, ma il proponente porta a compimento il contratto comunque.

L’art. 1327 cod. civ. dice che quando per la natura dell’affare o secondo gli usi locali la prestazione offerta debba eseguirsi senza un esplicito consenso della controparte, il contratto si intende tacitamente concluso nel luogo e nel momento in cui ha avuto inizio la prestazione.

proposta–mancato rifiuto: anche questa sequenza di perfezionamento del contratto è molto usata e proprio per questo è di notevole discussione presso la dottrina moderna.

L’art. 1333 cod. civ definisce il contratto così formato, se è oggetto di obbligazioni solo per la parte proponente, come tacitamente perfezionato dal momento in cui la controparte non rifiuta le proposte fatte.

Il destinatario può comunque rifiutare la proposta ma in mancanza di tale rifiuto il contratto è senz’altro concluso.

Tuttavia la proposta e l’accettazione possono essere comunque revocate fino a quando non si perfeziona il contratto in maniera definitiva e cioè fino a quando non perviene a conoscenza del proponente la notizia dell’avvenuta accettazione della controparte.

Questa revoca, però, trova degli importanti limiti nella legge stessa che in tal senso configura la responsabilità Civile per illecito pre-contrattuale.

Per la conclusione del contratto è indispensabile la contemporanea volontà delle due o più parti interessate con piene capacità.

La legge, nei casi specificatamente previsti, richiede particolari forme per la costituzione di contratti pena la nullità dell’atto stesso per mancanza di un elemento essenziale, la forma appunto.

La forma deve essere determinata solo quando richiesta:

– direttamente dalla legge (art. 1350 cod. civ.);

– da un precedente accordo scritto tra le parti come forma convenzionale (art. 1352 cod. civ.);

– dal proponente nella forma da lui richiesta per l’accettazione (art. 1326 cod. civ.).

Alla fase negoziale del contratto appartengono anche il diritto di revocare sia la proposta che l’accettazione dato che le obbligazioni sorgono solamente con il perfezionamento del contratto.

In tal senso però il Codice Civile, all’art. 1337, contiene una clausola generale molto importante per il nostro ordinamento giuridico che obbliga le parti a comportarsi secondo un sano e giusto principio di buona fede ed eviterebbe ogni abuso doloso e colposo, conseguenza di una culpa in contrahendo, produttrice di malafede per cui la parte che cagiona il relativo danno deve obbligatoriamente risarcire il soggetto leso secondo un criterio di responsabilità pre-contrattuale.

Questa forma di responsabilità civile si rende del tutto autonoma ed indipendente da qualunque altra forma di responsabilità, come quella extracontrattuale, perché non c’è la lesione di alcun diritto assoluto, e contrattuale, perché non si è instaurato ancora un vero e proprio rapporto obbligatorio tra le parti.

La buona fede e la correttezza sono dei principi che investono l’intero Codice Civile e particolarmente il capo dei contratti, dall’inizio, con la fase della negoziazione, alla fine giungendo sino alla fase dell’interpretazione da parte del giudice.

I generali doveri di correttezza e buona fede nelle trattative vengono soprattutto comunemente specificati con riferimento:

– al dovere di informazione imposto alle parti non solo alle cause di invalidità (ex art. 1338 cod. civ.) ma anche ad ogni altra notizia rilevante ai fini della prestazione del consenso o della determinazione del contenuto contrattuale;

– al divieto di recesso ingiustificato dalle trattative quando l’altra parte poteva legittimamente fare affidamento nella loro positiva conclusione.

In tali casi la parte danneggiata ha il diritto di ricevere l’interesse negativo, cioè i danni che sarebbero stati evitati astenendosi dalle trattative, sotto forma di danno emergente, cioè le spese sostenute inutilmente, e lucro cessante, cioè il mancato guadagno relativo all’utile sfruttamento di altre occasioni trascurate a causa della trattativa intrapresa.

Per quanto riguarda l’origine della culpa in contrahendo, la dottrina si è spaccata in due vie.

La prima sostiene che si tratti di una responsabilità di tipo aquiliana o fatto illecito (ex art. 2043 cod. civ.) con le conseguenti discipline (prescrizione dell’azione, onere della prova e danni risarcibili).

La seconda sostiene, invece, che si tratti di una responsabilità contrattuale ritenendo che per efficacia delle trattative, le sfere giuridiche delle parti non possano più ritenersi del tutto estranee ma siano, invece, legate da un rapporto giuridico anche se non da una vera e propria obbligazione.

L’azione dolosa di malafede è implicita, ad esempio, sin dall’inizio in chi compie una proposta con la consapevolezza precostituita di revocarla successivamente.

 

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