L’ultima opera prima della morte nel 1959 è un’introduzione a una raccolta di testi rari di Hobbes e Leibniz, primo volume di una collana di “Testi per la storia del pensiero giuridico”. Questa collana era stata da lui ideata come strumento di rottura e apertura verso la dottrina giuridica e mezzo di rinnovata diffusione sulle idee relative la natura e funzione della scienza giuridica, in particolare vedendo come il giurista deve lavorare con la collaborazione anche del legislatore e dello sviluppo della storia. Nell’introduzione prima citata affronta un problema storico e filosofico insieme, facendo risaltare la natura creatrice e non solo dichiarativa dell’opera dei giuristi. Egli si accorge che non si faceva in tempo a scoprire il terreno reale su cui si muoveva il pensiero giuridico di ogni età che una nuova ondata di metodologica presunzione lo ricopriva. Uno dei compiti della storia del pensiero giuridico doveva esser allora quello di dar conto della divergenza tra metodo davvero praticato e metodologia (che è frutto di una situazione storica e concreta) proposta e proclamata. Egli suggerisce di avvicinarsi allo studio della storia giuridica con lo sguardo rivolto alla sua funzione reale piuttosto che quella proclamata di volta in volta. Sia Hobbes che Leibniz erano per Ascarelli uniti dalla concezione dell’interpretazione giuridica come opera dichiarativa, progenitori della concezione dogmatica della giurisprudenza (pur sapendo che Leibniz era antiHobbes voleva dimostrare che la teoria dell’interpretazione di ambo aveva la radice dell’esigenza della certezza elevata a supremo valore dell’esperienza giuridica). Per Bobbio una lettura del genere può avvenire solo considerando l’influsso finale per le teorie positivistiche di Ascarelli. Hobbes aveva l’ideale della certezza al momento della posizione di un ordinamento (col favore di Ascarelli), Leibniz al momento dell’applicazione di un ordinamento già posto (una certezza dell’argomentazione accolta freddamente da Ascarelli). Lebniz in pratica da solo un compito dichiarativo al giurista e per Ascarelli è la visione statica della formazione del diritto, di un giurista servo. E’ affascinato invece da Hobbes e ciò deriva dal realismo senza illusione dei suoi principi unito al rigore asciutto dei suoi ragionamenti. Ascarelli distingue nel pensiero di Hobbes due aspetti: uno regressivo (consiste nella teoria dichiarativa dell’interpretazione cioè nell’attribuzione al giudice di una parte passiva del processo di creazione del diritto) e uno progressivo (rivalutazione della ragione naturale di ogni singolo individuo). Ascarelli tuttavia sa che il diritto da Hobbes è ridotto a calcolo utilitaristico (sovrano per la pace sociale) ma in ciò vede l’affermazione di un’etica della coscienza che coincide con la liberazione della stessa dall’abbraccio mortale col diritto. Così Hobbes separa morale e diritto, poi ripreso ciò da Kant. Per Bobbio ciò però sarebbe veramente possibile levando il passo del Leviatano in cui c’è scritto che ogni cosa faccia un uomo verso la propria coscienza è peccato. Quest’opera di Ascarelli è rimasta incompiuta per la prematura scomparsa.

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