Gli elitisti vedono nella nascente democrazia di massa un segno del tramonto degli autentici vettori spirituali della convivenza. Nel complesso la cultura politica di Pareto che denuncia “l’invigorirsi di fattori anarchici” è pensabile anche senza il fascismo. Come lo stesso Pareto osserva, le teorie politiche non sono la causa di un movimento politico. L’epoca presente appare a Pareto come l’epoca del mito politico. Il mito presenta indubbia “efficacia per spingere gli uomini a operare” ma non è certo uno strumento utile “per conoscere la realtà”. Scarsamente interessato ai problemi della fonazione, Pareto valuta gli ideali alla stregua di maschere che possono risultare utili come forze reali ma che si esauriscono in un “gran discorrere che vale proprio zero per conoscere le conseguenze dei vari ordinamenti”. Tra gli eterni principi e le conseguenze reali delle istituzioni esiste una abissale distanza. Un aspetto esenziale che ricollega Pareto a Machiavelli è la cura del contingente, dell’effettuale, delle “forze profonde esistenti nella società” e il rifiuto di ogni gratuito tentativo di assolutizzazione. Come Machiavelli anche Pareto si indirizza verso l’analisi dell’effettuale, delle forze reali senza chiedersi se una legge è giusta o ingiusta. La legge va studiata non certo per il grado di verità o giustizia che incorpora ma per le conseguenze sociali che implica il provvedimento adottato dal governo.

La minoranza al potere in Pareto non può vantare alcun titolo di legittimazione che non sia il fatto stesso di avere la forza sufficiente ad esercitare la potestà di comando. In Pareto la profonda ripugnanza per la democrazia si unisce a una esplicita rivendicazione della necessità di una reazione politica nell’età della plutodemocrazia. Nella sua diagnosi la crisi dello stato liberale, evidenziata dalla “rovina della sovranità centrale” e dalla comparsa di “piccole sovranità locali”, dall’apparizione di strutture quasi feudali come i sindacati provvisti di “piccole sovranità particolari”, richiede una incisiva risposta che stabilisca il carattere saldo e inflessibile dell’autorità. Quella di Pareto è l’invocazione di un regime autoritario con un governo forte che però conservi un certo impianto laico e disdegni ogni concessione al militarismo sfrenato. Nella politica di Pareto vi è la contaminazione di un liberalismo autoritario e di un fascismo non totalitario capace di porre un argine alla deriva di un impotente parlamentarismo e restaurare davvero l’autorità dello stato invano promessa dai politici della vecchia Italia. Del liberalismo Pareto ha una visione statalista e conservatrice. Del fascismo condivide la prepotente riscoperta della statualità. Le società democratiche per Pareto vedono la scomparsa del principio della statualità sebbene la presenza fisica di funzionari sia avvertibile in ogni settori. Pareto ritiene che nella classe politica dominante si accumulano con il tempo elementi scadenti, persone incompetenti e irresolute e nella classe dominata crescono invece elementi di qualità superiore. Il regime parlamentare in Italia è del tutto impotente, infiacchito e Pareto auspica che un movimento radicale spazzi via il decrepito ordinamento costituzionale. Il fascismo ha il merito di opporre freschezza politica, violenza risanatrice.

Il problema che assilla Parato è quello di svelare i delicati meccanismi che sono dietro “il bisogno di ricoprire con vernice logica le azioni non logiche”. Lo sforzo di Pareto è di carattere realista e anti-ideologico. Intende cogliere i fatti stessi che persistono nel tempo e non lasciarsi catturare dalle idee mutevoli che li avvolgono. Tra l’istituzione e l’ideologia politica esiste un divario incolmabile. Nella sfera sociale prevalgano sollecitazioni irrazionali, spinte emozionali, azioni non logiche, condotte rituali, manifestazioni simboliche. Secondo Pareto “una società determinata esclusivamente dalla ragione non esiste e non può esistere”. In politica non è la verità delle asserzioni ma il loro grado di persuasione che conta fino a determinare opinioni e linee di condotta.

Più che “la dimostrazione logico-sperimentale” in politica può “la ripetizione” spesso ossessiva delle medesime frasi, delle stesse parole d’ordine. In politica non vale l’opposizione tra verità ed errore, tra argomenti logici e illogici, ma quella tra efficacia e inefficacia dei ritrovati simbolici a creare sistemi di credenze, illusioni collettive. La divaricazione che per Pareto risulta centrale è quella tra elite e massa, tra i pochi e i molti che non sono ai vertici nelle loro prestazioni professionali. Solo chi mostra di avere un “ingegno speciale che ci vuole per la politica” può entrare a far parte della “classe eletta di governo”. Una elite illuminata e disincantata ha dinanzi una massa oscurantista e incantata dalla parola delle minoranze.

Quello che Pareto intende deplorare è la rinuncia a somministrare la forza nel conflitto sociale. Pareto si mostra desolato dinanzi a questo esaurimento della forza. Dinanzi all’effetto devastante dei processi democratici che vedono lo stato deporre le sue armi poliziesche, Pareto ribadisce la sua convinzione che “gravissima illusione è quella degli uomini politici che si figurano potere supplire con inermi leggi all’uso della forza armata”.

Per un conservatore come Pareto tutto questo permissivismo è inaccettabile. Il volto autoritario del potere non può essere impunemente accantonato. Secondo Pareto “tutti i governi si basano sulla forza, e tutti asseriscono di avere il fondamento nella ragione”. Lo stato di diritto non cambia assolutamente il volto del potere che è sempre incentrato sulla forza. Anche la strada dell’ampliamento dei diritti politici non conduce in un’altra dimensione della politica giacché “con o senza suffragio universale, è sempre un’oligarchia che governa”.

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