L’imperatività del diritto

Che le proposizioni di cui si compone un ordinamento giuridico appartengano alla sfera del linguaggio prescrittivi è vecchia dottrina, nota sotto il nome di imperatività del diritto. Accanto a tale teoria secondo la quale l’imperatività è elevata a carattere costitutivi del diritto, sono state sostenute dottrine miste e dottrine negative.

La formulazione classica della dottrina imperativistica esclusiva è quella che si trova formulata nell’opera del giurista tedesco Augusto Thon secondo cui l’intero diritto non è altro che un complesso di imperativi dettati da norme prescrittive il cui scopo è la modificazione di un comportamento altrui. Per dare un’idea della fortuna che la teoria imperativistica ebbe in Italia, Bobbio fa riferimento ad un giurista, Carnelutti il quale afferma che il comando è il prodotto semplice e unico del diritto e vede un rapporto di interdipendenza fra comando e sanzione.

Gli imperativi si distinguono in comandi di fare (imperativi positivi) e comandi di non fare (divieti; imperativi negativi). La prima domanda che i teorici si sono posti è se il diritto si compone di imperativi di entrambe le specie; vi è stato, come i giusnaturalisti, chi ha risposto sostenendo che la caratteristica del diritto, in confronto alla morale, è di essere costituito solo da imperativi negativi: la morale comanda e il diritto proibisce. Per il giusnaturalista Thomasius, il diritto era, rispetto alla morale meno impegnativo perché mentre quest’ultima ci obbliga a fare qualcosa per gli altri, il diritto ci obbliga solo ad astenerci dal fare il male. Per Bobbio questa distinzione è inaccettabile: precetti positivi e negativi si intrecciano nella morale e nel diritto.

Per capire la tesi di Thomasius, si deve far riferimento al passaggio dallo stato di natura a quello civile; Nello stato di natura la libertà era sfrenata, per entrare nello stato civile gli uomini dovevano imporre delle restrizioni che consistevano, originariamente di comandi negativi. Il punto debole di questa dottrina è che la funzione del diritto non è solo quella di rendere possibile la coesistenza di libertà esterne, ma anche quella di rendere possibile la reciproca cooperazione tra gli uomini e per far ciò occorrono obblighi positivi

Comandi e imperativi impersonali

Sempre nell’ambito della teoria imperativistica, vi è stato chi ha escluso che le norme giuridiche per il solo fatto di essere imperativi siano anche comandi. Questa tesi è stata sostenuta dal giurista svedese Olivecrona il quale parte da una definizione ristretta di comando affermando che esso presuppone una persona che comanda e una a cui il comando è indirizzato e, secondo lui, nella legge manca la persona di colui che comanda.

Tale tesi si propone come una teoria realistica del diritto e l’autore afferma che anche se non sono comandi reali, le norme giuridiche sono date nella forma imperativa e quindi non in quella descrittiva; a chi afferma che anche in questo caso si finisce nel ricadere nella teoria imperativistica, Olivecrona risponde di no sostenendo che vi sono proposizioni imperative che non si devono confondere con i comandi e sono quelle che funzionano indipendentemente da una persona che comanda e assegna a questa categoria le norme giuridiche e i 10 comandamenti; Bobbio ritiene che, come ogni altro tentativo di trovare la caratteristica delle norme giuridiche in un elemento formale, la teoria di Olivecrona sia destinata all’insuccesso per due ragioni:

1) l’ordinamento giuridico è composto da norme di vario genere ogni teoria riduzionistica è destinata a impoverire la ricchezza dell’esperienza giuridica;

2) Anche se si riesca a fissare un tipo di imperativo, è difficile che questo non valga anche per altre sfere normative diverse da quella giuridica.

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