Queste tematiche sono sostenute dalla dottrina pro-choice che si contrappone a quella pro-life, con un preciso intento polemico, assumendo come centrale il tema dell’autonomia, ossia della possibilità/doverosità di operare delle scelte.

In questa prospettiva la vita non vale in sé come dono ma merita tutela solo se consente la manifestazione dei valori dell’autonomia e dell’autodeterminazione nel rispetto della privacy.

Quindi non ogni vita ha lo stesso significato ma valgono solo quelle che possono essere vissute alla luce di questi canoni.

Quindi per i sostenitori di questa dottrina il compito della medicina e dell’ingegneria genetica è quello di progettare e migliorare la qualità della vita, privilegiandone le espressioni che garantiscono un adeguato standard di autonomia e autodeterminazione.

Due posizioni in questo senso sono particolarmente emblematiche:

– Quella di Singer

– E quella di Engelhardt

Il pensiero di Singer lo abbiamo analizzato prima, per lui non si può pretendere di affidare il compito di limitare la ricerca e la pratica biomedica e biotecnologica alla scienza, in quanto lo scienziato ricorre per sperimentare a “finzioni convenienti”.

L’elaborazione di queste finzioni, per Singer, è giustificata solo se promuove il benessere della persona, ove per questa intende un soggetto, umano ma non solo, capace di autodeterminarsi e dotato di puntuali “caratteristiche eticamente rilevanti”. I requisiti che garantiscono la tutela della vita sono per Singer la capacità di avvertire il piacere e il dolore, di elaborare ed esprimere delle preferenze e l’essere in rapporto simpatetico con altri soggetti.

Quindi non vi è tutela per i cerebrolesi, i soggetti in coma, gli infanti e i nascituri, oltre che per la maggior parte degli animali. Tutti questi soggetti, laddove non soffrano e nessuno soffra per la loro scomparsa, possono essere sacrificati qualora le esigenze degli individui superiori lo richiedano, solo a questi ultimi dev’essere garantito l’esercizio della autodeterminazione e della libera scelta.

Cioè per Singer l’ autonomia morale vuol dire possesso pieno della capacità di intendere, di volere e di elaborare preferenze e scelte. Chi è autonomo, e fino a che rimane tale, ha il diritto di autodeterminarsi senza rinvenire limiti che non siano quelli rappresentati dal rispetto dell’autonomia di altri soggetti pieni. Autonomia vuol dire essere padrone di sé, significa scegliere senza incontrare ostacoli o limiti, nel rispetto ovviamente dell’ugual diritto altrui alla manifestazione della propria razionalità.

Questa tesi è presente anche nel dibattito italiano a ha di recente orientato la critica di Vittoria Franco circa la attuale disciplina italiana che regola la procreazione assistita.

Secondo la studiosa il concetto-chiave per una corretta
interpretazione della questione bioetica e per un autentico bilanciamento dei diritti della madre con quelli derivanti dalla tutela dell’embrione è ravvisabile nel concetto di autonomia responsabile e relazionale, quest’ultima sarebbe in grado di indicare un limite all’interno della coscienza individuale e, assistita dal principio di tolleranza, potrebbe offrire una via “laica” per un confronto procedurale fra le varie posizioni per giungere ad una “legislazione mite”.

Il concetto di autonomia responsabile è sicuramente soggettivo, però essere responsabili significa essere disposti a rispondere a qualcuno riguardo a qualcosa e in nome di un valore. Tale valore, anche se non può prescindere dalla coscienza individuale non può trovare nel fatto di essere in essa presente la sua fondazione e giustificazione, pena la caduta nel relativismo individualistico.

Quindi ben venga un etica della responsabilità a condizione di ricordare che l’opposto di questo concetto è l’insidacabilità

Importante anche la tesi di Engelhardt, egli è consapevole del carattere fallace delle principali ideologie moderne. Ritiene che il progetto morale sistematico ed ordinato della modernità sia fallito e che esso sia inapplicabile nella nostra società complessa e pluralistica. Non vi è più una legge comune per gli uomini, un nomos da condividere in base al quale governarsi e regolare i rapporti intersoggetivi. Tale non è nemmeno il criterio del perseguire l’utilità comune.

Al limite possiamo individuare sotto gruppi socio-culturali con omogeneità di opinioni. Ma tali gruppi sono numerosi e molto diversi tra loro.

Come alternativa tale autore suggerisce un’ etica secolarizzata per “stranieri morali”, intesa come uno schema neutro, privo di contenuto prestabilito e squisitamente procedurale. Per lui, attraverso una puntuale procedura è possibile giungere ad accordi indipendentemente dalla condivisione di precisi contenuti morali. Ad esempio dice che anche se lui è cattolico e quindi contrario all’eutanasia e all’aborto, capisce che lo stato laico non può rifiutare aborto ed eutanasia per assecondare la moralità cattolica.

Compito del bioeticista non è quindi quello di proporre un decalogo di comportamento ma è quello di ideare e promuovere procedure che garantiscono il rispetto delle reciproche libertà e loro compresenza. Libertà intesa come autodeterminazione rimane un valore fondamentale per Engelhardt. Essa è però intesa in modo minimalistico, come pretesa che la propria soggettività non subisca interferenze altrui, se non quelle accettate con un accordo volto a consentire una risoluzione pacifica del conflitto. La peculiarità della proposta di questo studioso risiede in questo concetto di risoluzione pacifica delle controversie che dovrebbe assicurare rispetto agli “stranieri morali”.

E’ una tesi molto suggestiva ma per valutarla occorre capire cosa si intenda per “stranieri morali” e per “soluzione pacifica delle controversie”.

Straniero morale è qualificato chiunque sia uomo in senso pieno, cioè sia autonomo e dotato di capacità simpatetica, cioè si accorda al pensiero o al sentimento di un altro soggetto, e riconosca la necessità di controvertere con gli altri uomini.

Quindi l’autonomia è intesa come possesso di capacità di intendere e di volere, di autocoscienza e di capacità di elaborare un giudizio morale; facoltà che devono essere in atto e non meramente potenziali. Di conseguenza non tutti gli esseri umani sono persone per questo autore: i feti, infanti, ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza sono esempi di NoN-PERSONE UMANE.

Tali entità sono membri della specie umana, ma non persone autonome e quindi degne di tutela.

Il principio di autonomia guida l’uomo insieme a quello di beneficienza che si basa sulla simpatia sociale; il 1° è prioritario poiché il rispetto della scelta individuale è insindacabile finché non lede il diritto altrui all’autonomia. Per tanto le non persone non possono pretendere il rispetto, né alcuno può esigerlo a loro favore; tuttavia ragioni di simpatia sociale, sempre legate ad argomenti di utilità, possono portare ad una qualche forma di tutela dei membri della specie umana non adeguatamente evoluti.

Stranieri morali sono quindi gli esseri autonomi disposti ad accettare le modalità della controversia come unica via per giungere ad un accordo in assenza di principi e valori comuni. Ma è anche colui in grado di contrattare e giungere ad accordi basati sul permesso e il consenso informato.

Ogni controversia però non può risolversi in vari modi: uno solo è il metodo accettabile.

C’è la pratica della violenza tout-court; c’è il ricorso alla fede religiosa ma l’unica accettabile è l’argomentazione razionale, ma non esiste principio su cui fondarla, e per tanto resta come unico modo per risolvere le controversie l’accordo, la decisione a maggioranza, frutto di contrattazione.

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