A questo punto possiamo continuare il nostro esame sottolineando la complessità concettuale del termine “diritto umano alla vita”, si tratta di una complessità che laddove insaputa, si traduce in “vaghezza” pregiudicando la correttezza del ragionamento.

Questo avviene in 2 ambiti delle “scelte tragiche”:quello della bioetica di fine e inizio vita.

Per quanto riguarda il problema della fine vita (eutanasia) lo analizzeremo più avanti.

Tale vaghezza incide anche sull’inizio della vita cioè sul diritto di aborto e sul diritto alla procreazione.

Vaghezza che pregiudica la possibilità di una corretta interpretazione del possibile conflitto fra lo stesso diritto alla procreazione e il diritto alla vita dell’embrione, ma anche fra diritto al figlio e i diritti del figlio (ecc).

Va subito detto che la riproduzione assistita apre inquietanti interrogativi, quesiti ancor più difficili quando dietro al concetto di diritto umano si nascondo significati diversi. Ci troviamo anzitutto di fronte al problema di capire qual è l’oggetto meritevole di tutela: la volontà o la salute? l’alternativa comporta una difficile scelta tra i 2 principi cardine che sono anche i 2 estremi di tensione della bioetica:

– il principio di autonomia (ritiene legittima qualsiasi forma di riproduzione assistita derivante da un desiderio soggettivo, frutto di scelta consapevole e di corretta informazione medica)

– il principio di beneficienza (antepone alla volontà soggettiva la tutela di altri valori come la famiglia, la salute, il rispetto della persona umana).

si tratta di due diverse prospettive che incidono sia sui vari progetti legislativi sia sul modo di leggere le norme.

In altre parole la vaghezza concettuale può pregiudicare un corretto ragionamento sul bilanciamento tra i diritti della madre e del padre e quelli del nascituro in ogni suo stadio. Ma soprattutto un endoxon ambiguo può far apparire accettabile la semplice supremazia della volontà del più forte. Tutto ciò è conseguenza di un non chiarito tema della titolarità. E’ quindi necessario chiedersi quale sia il reale oggetto di tutela cioè cosa si intende per il bene-vita di cui si pretende la tutela.

Si tratta di un diritto alla vita o sulla vita?

Se si ritiene la vita un bene a disposizione, chi è titolare di questo?

Il già nato che può far sentire la sua voce o il nascituro? o ancora il già nato come singolo? o come parte della società?

Va subito evidenziato come sono varie le risposte che la dottrina ci offre di fronte al dilemma fra il diritto a procreare e i diritti di chi diviene titolare del diritti di vita.

Le varie risposte dipendono dal modo con cui viene considerato il rapporto dell’uomo con la vita, quella sua ma anche quella altrui.

Vi sono varie interpretazioni sul diritto alla procreazione, viene inteso in seno negativo o positovo, in senso assoluto o relativo, come espressione del diritto di autodeterminazione o come espressione del diritto alla salute.

Così c’è chi l’ha inteso come diritto a dare la vita che spetta ad un soggetto adulto, così si pone al centro della questione il desiderio di chi vuole un figlio. Tale tesi è stata sostenuta dalla Warnock che ha affermato che anche se concepire non può essere considerato come un diritto fondamentale, le persone sterili che desiderano concepire hanno titolo per aspettarsi che sia fornita loro l’assistenza di cui hanno bisogno. E’ però necessario che questo desiderio sia soddisfatto nel rispetto del fondamentale principio che impone la tutela del bene del figlio generato.

Tesi analoga è sostenuta da Lecaldano, esponente della bioetica neoutilitarista che suggerisce di distinguere le varie preferenze in base al loro intrinseco valore e in base all’ incidenza che il loro soddisfacimento ha sulla vita altrui e quindi pensa ad una legislazione che stabilisca regole convenzionali cercando un equilibrio che consenta a persone con diverse esigenze vitali di non essere discriminate laddove soddisfare queste esigenze non sia un danno per gli altri.

Alcuni studiosi di bioetica però avvertiti i pericoli connessi alla fecondazione artificiale si oppongono alla tesi che assegna il primato alla volontà di colui che intende procreare e riconoscono al nascituro fin dal suo primo formarsi il diritto assoluto alla vita e al pieno rispetto. Essi ritengono che il rapporto dell’uomo con la vita non è uguale a quello che si ha con un bene disponibile.

Per essi non comprendere il carattere assoluto alla vita significa ridurre colui che è chiamato alla vita ad un mero oggetto di diritto.

D’Agostino afferma che venire al mondo in base ad un progetto scientifico e tecnologico è un’offesa all’identità perché crea una sorta di scissione tra la persona che viene fatta venire al mondo e il modello ideale che ha mosso le mani di colui che l’ha prodotta per clonazione o attraverso altra manipolazione. Può essere un prodotto ben riuscito o riuscito male …si tratat di una violenza molto sottile: alla persona che viene chiamata alla vita è infatti sottratto il diritto di essere valutata e accettata per come essa è in se stessa e le viene imposta un’unità di misura della sua identità che è fuori di lei.

Al riguardo non è esente da responsabilità la medicina che spesso tradisce la sua vocazione terapeutica: si passa dal dovere di curare al diritto di progettare la salute altrui se si ritiene che la fonte dei diritti sia nella volontà di chi li può esprimere.

Quindi per D’Agostino la fecondazione assistita deve essere intesa cm un atto medico con precise finalità terapeutiche e quindi il diritto soggettivo a cui essa deve far riferimento è quello alla salute di tutti i soggetti interessati.La fecondazione assistita svincolata dal parametro della terapeuticità è destinata ad aprire la via all’eugenetica, o meglio al miglioramento della specie umana.

Il nostro ordinamento sembra rispettare in questo ambito dell’esperienza bioetica la doverosa protezione del più debole.

Busnelli (civilista), sostiene che il desiderio di diventare genitori è senza dubbio nella nostra esperienza giuridica un valore in quanto esprime il desiderio della persona ma non può essere identificato con un valore fondamentale. Infatti il principio di assoluta libertà riproduttiva difficilmente è compatibile con i principi costituzionali italiani.

Lo stesso afferma che nelle moderne costituzioni europee vi è assoluto silenzio in ordine al diritto individuale alla felicità; la privacy non è il valore sommo nella scala dei valori fondamentali, che ha al vertice il principio inviolabile della dignità della persona. Costante è invece nei vari ordinamenti la tutela della vita del concepito come bene di rilievo costituzionale a cui corrisponde la raccomandazione dell’ UE di procedere alla definizione dello statuto biologico dell’embrione.

Busnelli sostiene che in ambito bioetico meglio sarebbe ricorrere al principio di bilanciamento dei valori costituzionalmente protetti che solo potrà offrire soluzioni accettabili se orientate dal principio di responsabilità. In questo senso per l’autore civilista l’accesso alle tecnologie riproduttive ha come punto di partenza non la tutela della libertà ma la tutela della salute, come fondamentale diritto dell’individuo,e per tanto deve essere motivato da una finalità terapeutica e accertata; questo spostamento di visuale (dalla tutela della libertà alla tutela della salute) consente di affrontare in modo più coerente con i principi costituzionali la scelta tragica che accompagna il ricorso alla fecondazione in vitro. La tutela della salute della donna può indurre il legislatore al sacrificio degli embrioni, questo non vuol dire disconosce la vita umana presente in questi ultimi ma piuttosto è una scelta drammatica tra due valori di pari rango ma in diverso stadio evolutivo. Non esiste infatti piena equivalenza giuridica tra la tutela della salute di chi è già persona e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare.

Lo stesso riconoscimento del principio di responsabilità e il ricorso al criterio di bilanciamento dei valori costituzionalmente protetti è stato affermato da un altro studioso: Azzaro che parte dal presupposto che il bene giuridicamente superiore è quello del minore ma si può dare rilevanza g al consenso dei genitori alla procreazione artificiale solo se non venga in qualche modo pregiudicato il diritto del soggetto più debole a non dover subire per decisione altrui situazioni o fatti che impediscano il pieno sviluppo della propria personalità all’interno della famiglia.

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