Il metodo dell’autointegrazione si vale soprattutto di due procedimenti: l’analogia; i principi generali del diritto. Con l’indicazione di tali procedimenti, il legislatore presume che in caso di lacuna la regola debba essere trovata nell’ambito stesso delle leggi vigenti.

Si intende per analogia quel procedimento per cui si attribuisce ad un caso non regolato la stessa disciplina di uno regolato simile. L’analogia è certamente il più tipico e più importante dei procedimenti interpretativi di un sistema normativo: è quel procedimento con il quale si esplica la tendenza di ogni sistema di espandersi oltre i casi espressamente regolati. Perché si possa trarre l’attribuzione al caso non regolato delle stesse conseguenze giuridiche attribuite al caso regolato simile, occorre che tra i due casi esista una SOMIGLIANZA RILEVANTE, cioè bisogna risalire dai due casi ad una qualità in comune ad entrambi; vi deve cioè esserci una ragion sufficiente di similarità: la cosiddetta RATIO LEGIS.

In genere si distingue l’analogia propriamente detta (ANALOGIA LEGIS), sia dall’analogia iuris, sia dall’ interpretazione estensiva. L’analogia iuris è il procedimento con cui si ricava una nuova regola per un caso imprevisto non dalla regola che riguarda il caso singolo, ma di tutto o parte del sistema. Essa non ha niente a che vedere con il ragionamento per analogia. Per quanto riguarda l’interpretazione estensiva, essa è un caso di applicazione del ragionamento per analogia. L’importanza giuridica sta nel fatto che si ritiene comunemente che là dove l’estensione analogica è vietata, come ad esempio per le leggi penali o eccezionali, l’interpretazione estensiva sia lecita.

Quindi l’unico criterio che si può accettare per differenziare l’analogia dall’interpretazione estensiva, secondo Bobbio, è cercare di cogliere la differenza rispetto ai diversi effetti: l’effetto dell’estensione analogica è la creazione di una nuova norma; l’effetto dell’interpretazione estensiva è l’estensione di una norma a casi non previsti da questa. In questo caso si attua una ridefinizione di un termine ma la norma che si applica è sempre la stessa.

L’altro procedimento di autointegrazione è il ricorso ai PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO noti come analogia IURIS. Tale espressione è stata usata dal legislatore nel 1865, ma per gli equivoci che comportava, se cioè si dovesse intendere per “diritto” quello naturale o quello positivo, il progetto del nuovo codice aveva adottato la formula “principi generali del diritto vigente” che fu poi cambiata ancora in “principi generali dell’ordinamento giuridico dello stato” in quanto si riteneva che il termine ordinamento risultasse comprensivo anche dell’ordinamento politico – legislativo statuale e della tradizione scientifica nazionale.

Da tale pensiero si deduce la presenza del dogma della completezza, e il riferimento alla tradizione scientifica può far pensare ad un’evasione all’eterointegrazione. Che il ricorso ai principi generali sia un processo di eterointegrazione è stato sostenuto dal maggior studioso italiano del problema dell’interpretazione, Betti, i cui argomenti non convincono Bobbio. Betti mette il ricorso ai principi generali del diritto tra i metodi di eterointegrazione affermando anche che siccome le singole norme non rispecchiano, se non in parte, i principi generali, così questi in quanto criteri di valutazione immanenti all’ordina giuridico, sono caratterizzati da una eccedenza di contenuto deontologico in confronto delle singole norme.

La difficoltà di questa tesi sta nel fatto che da un lato i principi generali sono considerati immanenti all’ordine giuridico, dall’altro eccedenti.

Per Bobbio invece essi non sono che norme fondamentali o generalissime del sistema. Tali tesi è sostenuta anche lo studioso Crisafulli il quale mette avanti due argomenti: anzitutto se sono norme quelle da cui i principi generali sono estratti, non si vede perché non debbano essere norme anche i principi generali. In secondo luogo, la funzione per cui sono estratti e adoperati è quella stessa che è adempiuta da tutte le norme, cioè la funzione di regolare un caso. In caso di launa poi essi sono estratti per regolare un comportamento no regolato e quindi hanno lo stesso scopo delle norme espresse.

Crisafulli inoltre distingue i principi generali in espressi e inespressi; quelli espressi li distingue a loro volta in espressi già applicati e non applicati ancora. Molte norme sia dei codici che delle costituzioni, sono generalissime e quindi veri e propri principi generali espressi. Molte norme della costituzione sono principi generali del diritto ma, a differenza delle norme del C.c., alcune di esse non sono ancora applicate: principi generali espressi non applicati.

I principi non espressi sono quelli che si possono ricavare per astrazione da norme specifiche o non molto generali.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento