L’istituzione contro la quale viene presentato il ricorso dev’essere preliminarmente invitata ad agire (art. 232, secondo comma). È soltanto quando l’istituzione non ha preso posizione allo scadere di un termine di 2 mesi dalla richiesta (vale nuovamente questo termine) che il ricorso può essere proposto.

Questa richiesta preliminare costituisce una formalità essenziale e dev’essere formulata in termini espliciti: una semplice lettera alla Commissione non è considerata sufficiente se non è esplicita e non indica le misure che vengono richieste (è necessario, in particolare, che dalla lettera risulti chiaramente che in caso di mancata attività della Commissione sarà proposto il ricorso).

L’istituzione «convenuta» nel ricorso deve avere la competenza per agire e deve avere l’obbligo di agire: se l’azione dell’istituzione ha un carattere discrezionale, come avviene quando la Commissione agisce ex art. 226 «per infrazione», il ricorso è irricevibile.

È irricevibile – dichiara la Corte (14.2.1989, causa 247/87, Star Fruit, in Raccolta, p. 291) – il ricorso per carenza, proposto da una persona fisica o giuridica, che miri a far accertare che, non avviando nei confronti di uno Stato membro un procedimento per la dichiarazione di un inadempimento, la Commissione ha omesso di statuire trasgredendo il trattato. Si desume infatti dal complesso dell’art. 169 del trattato che la Commissione non deve avviare un procedimento ai sensi di questa disposizione, ma che in proposito essa dispone invece di un potere discrezionale il quale esclude che i singoli abbiano il diritto di esigere da detta istituzione che essa agisca in un senso determinato.

Oggetto del ricorso è la mancata emanazione di un atto determinato e non l’assenza di una «politica comune», vale a dire di un complesso organico di principi e di atti (CGCE 22-V-1985, causa 13/83, Raccolta p. 1513).

I ricorsi in carenza devono essere proposti avanti alla Corte di giustizia se a presentarli sono gli Stati o le istituzioni. Tuttavia è possibile anche che vengano proposti avanti il Tribunale di primo grado: segnatamente da persone fisiche o giuridiche contro la mancata applicazione, da parte della Commissione, delle regole di concorrenza applicabili alle imprese.

Se l’istituzione ha preso posizione (nelle molteplici forme in cui ciò è possibile: adozione dell’atto richiesto, riproduzione di una posizione giuridica preesistente) nel termine di 2 mesi, il ricorrente può agire per chiederne l’annullamento ex art. 230 (già 173) se la considera illegale: se la presa di posizione esplicita corrisponde a quella implicita (vale a dire l’istituzione conferma espressamente la sua «omissione») il ricorso in carenza si trasforma nuovamente in un ricorso per annullamento (CGCE 3-III-1982, causa 14/81, Raccolta, p. 749).

Perché sia portato avanti alla Corte un ricorso in carenza occorre che l’istituzione non abbia preso posizione nel termine che le è fissato (lo stesso avviene se una presa di posizione negativa interviene una volta trascorsi i due mesi) oppure che l’istituzione si rifiuti espressamente di agire, oppure ancora che la presa di posizione consista nel contestare l’applicabilità al caso dell’art. 232.

Se l’atto la cui omissione ha determinato il ricorso viene compiuto dopo l’introduzione di quest’ultimo ma prima della sentenza, il ricorso diventa privo di oggetto (CGCE 12-VII-1988, causa 377/87, Parlamento c. Consiglio, in Raccolta, p. 4017).

La sentenza finale della Corte può solo constatare che l’inazione della Commissione (o di una delle altre istituzioni elencate nell’art. 232) costituisce una violazione del Trattato: eventualmente può indicare qual è il tipo di atto richiesto.

A differenza delle sentenze pronunziate nelle cause per annullamento, che determinano una modificazione della situazione giuridica facendo sparire l’atto annullato immediatamente e retroattivamente, la sentenza non ha quindi effetti pratici. Le misure necessarie per far venir meno la violazione rimangono di competenza dell’istituzione contro la quale il ricorso è stato proposto (art. 233) e la sentenza crea soltanto un obbligo a suo carico di agire.

Resta tuttavia salva la possibilità di agire, contro la Comunità, per la responsabilità extracontrattuale che risulti accertata dalla sentenza (art. 288, 2o comma).

 

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