Il differente atteggiarsi dei poteri della Comunità fa sì che gli accordi da essa conclusi si presentino sotto due forme molto differenti:

  1. accordi «puramente comunitari», conclusi esclusivamente dalle Comunità senza che gli Stati membri ne siano parte (anche se, in forza dell’art. 300 (già 228), sono vincolati ad essi e devono osservarli);
  2. accordi «misti», ai quali partecipano, insieme alla Comunità, anche gli Stati membri (e che, nonostante l’ampia interpretazione data dalla Corte al Treaty-making power della Comunità, sono assolutamente prevalenti: anche gli accordi di associazione vengono conclusi in questa forma).

La Corte di giustizia ha avuto modo di precisare (nel parere 1/75 dell’11-XI-1975, in Raccolta, p. 1355) che il termine «accordo» che figura nel Trattato CE «dev’essere inteso in senso generale: designa ogni impegno a carattere vincolante assunto da soggetti di diritto internazionale indipendentemente dalla forma di esso».

Per effetto di una regola tradizionale del diritto internazionale pubblico, codificata nell’art. 30 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, gli accordi conclusi dalla Comunità non possono prevalere su quelli conclusi da uno Stato membro prima della sua adesione alla Comunità (in questo senso dispone l’art. 307 CE).

i) Gli accordi puramente comunitari sono quelli che rientrano nelle competenze assegnate alle Comunità dai rispettivi trattati istitutivi. Nonostante le affermazioni sopra riportate della Corte di giustizia relative al potere della Comunità di concludere accordi, all’atto pratico è difficile che gli Stati membri siano concordi nel riconoscere la competenza esclusiva della Comunità (per un atto internazionale che poi vincolerà anche loro): molte volte si è reso necessario richiedere un parere alla Corte in conformità dell’art. 228 Trattato CE. La stessa diffidenza si riscontra, d’altronde, negli Stati che stipulano accordi con la Comunità.

Generalmente non appartengono alla categoria degli accordi puramente comunitari gli accordi multilaterali negoziati nell’ambito di un’organizzazione o di una conferenza internazionale, perché difficilmente l’oggetto di questi accordi rientra nelle materie di competenza esclusiva della Comunità. Gli accordi multilaterali negoziati con la tecnica dell’accordo puramente comunitario sono infatti rarissimi. Più frequenti sono quelli bilaterali, nei quali le Comunità riescono a circoscrivere l’oggetto dei loro accordi con un singolo partner, mantenendolo nell’ambito delle materie per le quali hanno competenza esclusiva: si tratta di accordi commerciali o relativi al settore della pesca.

L’applicazione di queste regole non avviene senza le difficoltà dovute alle remore talvolta frapposte dagli Stati membri ad una corretta attuazione dei principi del diritto comunitario. «Estendendo» le proprie competenze, la Corte ha dichiarato più volte che, per quanto riguarda l’alto mare, la Comunità, nelle materie rientranti nelle sue attribuzioni, ha la stessa competenza normativa riconosciuta dal diritto internazionale allo Stato di bandiera. Quando pertanto il Consiglio ha deciso di attribuire agli Stati membri il diritto di voto in seno alla FAO (l’organizzazione dell’ONU per l’alimentazione e l’agricoltura in cui la Comunità dispone di un proprio seggio autonomo accanto a quello degli Stati membri) ai fini dell’adozione di un accordo relativo ad obblighi inerenti ai pescherecci, la Commissione ha adito la Corte chiedendone l’annullamento. La Corte ha annullato (CGCE 19-III-1996, causa C-25/94).

iii)Gli accordi misti sono quelli il cui oggetto rientra in parte nella competenza esclusiva della Comunità e in parte nella competenza propria dei soli Stati membri (oppure che rientrano nella competenza concorrente della Comunità, senza però che vi sia stato un trasferimento dei poteri mediante l’adozione di norme comuni).

Ad essi non partecipano necessariamente, accanto alla Comunità, tutti gli Stati membri. Alcune volte vi hanno partecipato solo gli Stati membri che avevano interesse all’accordo in questione (caso tipico è la Convenzione di Barcellona del 1976 per la protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento alla quale hanno partecipato soltanto la Francia e l’Italia, a quell’epoca i soli Stati mediterranei della CE). Nonostante la molteplicità delle firme, alcune volte gli accordi misti sono bilaterali, dal momento che danno origine ad un rapporto tra la Comunità, «rinforzata» dagli Stati membri, da una parte, e il partner extra-comunitario dall’altra.

Vi sono poi delle convenzioni non appartenenti specificamente ai settori regolati dalla CE, l’adesione alle quali è stata resa possibile mediante previsioni particolari (come un protocollo d’adesione, un accordo aggiuntivo, l’inserimento di clausole speciali etc.): il problema, in questi casi, è infatti quello di ottenere l’accettazione, da parte degli altri Stati contraenti, che la Comunità è parte dell’accordo.

Oltre alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, meritano di essere ricordati l’accordo di Berna nel 1963 relativo alla Commissione internazionale per la protezione del Reno contro l’inquinamento, i commodity agreements sopra ricordati, vari accordi sulla protezione dell’ambiente e da ultimo l’accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio in ordine al quale la Corte ha dichiarato essenziale la partecipazione sia della Comunità che degli Stati membri (parere 1/94 del 15-XI-1994, in Raccolta, p. I-5267).

Tutti gli accordi misti pongono il problema di distinguere tra i diritti e gli obblighi che fanno carico alla Comunità e quelli che appartengono agli Stati. Ciò riguarda sia la responsabilità internazionale in caso di inadempimento, materia che appartiene al diritto internazionale pubblico e non al diritto comunitario, sia l’esecuzione interna (la quale dovrà essere fatta con atti normativi tanto della Comunità quanto degli Stati membri).

Vi è poi tutta una serie di accordi relativi al funzionamento delle Comunità, che hanno carattere preparatorio rispetto ad atti comunitari i quali, per produrre i loro effetti, richiedono la ratifica da parte degli Stati membri o l’adozione da parte loro di provvedimenti legislativi di tipo ordinario. Pur essendo destinati ad operare nell’ordinamento comunitario, questi atti non vi producono un effetto immediato; come accordi, d’altra parte, non presentano i caratteri specifici del trattato internazionale e non si distinguono dalle intese – frequenti nelle relazioni politiche internazionali ad alto livello – che impegnano soltanto coloro che le perfezionano a titolo “personale” (gentlemen’s agreements).

Si possono ricordare, tra gli atti più significativi, le intese – adottate all’unanimità – che stanno alla base della decisione sui generis del Consiglio del 21 aprile 1970 relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri mediante risorse proprie delle Comunità (la decisione venne poi presa dagli Stati membri in conformità delle loro regole costituzionali rispettive), oppure l’atto – ugualmente sui generis – del Consiglio del 20 settembre 1976 relativo all’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale diretto (il quale può anche essere attribuito al Consiglio europeo, però venne firmato dal presidente del Consiglio dei ministri e controfirmato dai ministri degli esteri).

Per questi accordi – lo stesso vale per le intese adottate dai rappresentanti degli Stati membri in seno al Consiglio in ordine a materie che pur appartenendo al diritto comunitario non sono di competenza di quell’organo – si pone il problema dell’ammissibilità di un eventuale controllo della Corte di giustizia, problema da risolversi in senso negativo (anche se si deve escludere che questi atti – appartenenti al diritto internazionale «comune» – possano modificare la Comunità).

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