Riassumendo: l’imposta, come istituto giuridico, si può configurare come un debito del contribuente (obbligazione tributaria) che trova la sua causa in un fatto economico (presupposto) assunto dalla legge come manifestazione di capacità contributiva, al quale viene commisurata la somma da pagare, appunto, a titolo di imposta.

La soddisfazione del credito da parte dell’amministrazione finanziaria è il risultato dell’intervento di una serie di atti del privato e/o dell’amministrazione finanziaria che non danno luogo ad un procedimento amministrativo in senso tecnico.

Questo si caratterizza per la strumentalità di una serie necessaria di atti rispetto ad un atto finale, l’unico produttivo di effetti.

È quella che si chiama fattispecie a formazione successiva.

In materia tributaria il concorso di ciascuno degli atti di applicazione è puramente eventuale e manca un atto che possa dirsi principale rispetto alla serie degli altri.

La composizione degli atti è variabile: dipende dal comportamento delle parti.

Ora il primo punto che va rilevato è che la pluralità degli atti non vuol dire pluralità di rapporti giuridici, ciascuno dei quali possa essere oggetto di accertamento giurisdizionale autonomo.

Vi è un elemento unificante, dato dalla causa d’imposizione e dal conseguente rapporto.

La posizione del contribuente di fronte alla legge, che esige il pagamento se si sono verificati certi presupposti, è quella di chi ha un diritto soggettivo perfetto: egli è tenuto a compiere quanto previsto dalla legge.

Non è consentito rivolgersi al giudice per rimuovere l’incertezza circa l’esistenza di un obbligo tributario se non ricorrendo contro atti dell’amministrazione finanziaria.

Questi atti nel loro contenuto e nei loro effetti non frantumano il rapporto tributario in tanti rapporti autonomi.

L’atto diventa occasione per l’accertamento del rapporto.

Lo studio dell’imposta, dal punto di vista della struttura, è studio di fatti e di rapporti: al verificarsi del presupposto economico è dovuta una somma a titolo d’imposta.

Lo studio dell’imposta dal punto di vista applicativo è studio di atti.

Il diritto processuale è ancora scritto come se al centro dell’attuazione delle imposte vi fosse l’atto della finanza, accordando la tutela solo in presenza di determinati atti dell’amministrazione finanziaria contro i quali si può proporre ricorso.

Sicché sembra che il diritto tributario sia solo diritto del potere della finanza di imporre determinati obblighi: si parla a questo proposito di “atti d’imposizione”.

In punto di diritto sostanziale, dominato dal principio di legalità, la finanza non ha il potere di imporre alcunché: per quanto riguarda l’accertamento essa liquida, con atto motivato, l’imposta; quando emette atti della riscossione, ordini di pagare, non emette atti discrezionali, ma atti dovuti, vincolati dalla legge nei presupposti e nel contenuto.

Il diritto processuale, come diritto strumentale dunque, deve essere in funzione del diritto sostanziale; esso deve accordare la tutela adeguata al primo.

Un’alterazione in sede processuale del diritto sostanziale sarebbe, come probabilmente è in alcuni punti, in contrasto coi principi costituzionali relativi al diritto di difesa anche contro gli atti della p.a.

 

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