Per quanto riguarda l’ambito dell’interpretazione delle leggi tributarie, valgono le regole generali previste dall’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile. Sono diverse le riserve relative all’ammissibilità dell’estensione analogica. Innanzitutto essa viene esclusa per le norme impositive, per quelle eccezionali e per quelle a ed. fattispecie esclusiva, perché di per se stesse riferite ad ipotesi specificamente individuate. Le maggiori problematiche sorgono sul piano applicativo delle norme tributarie.

Un primo problema riguarda il fatto che le norme tributarie spesso ritengono rilevanti fiscalmente gli atti e i negozi giuridici posti in essere dai contribuenti, al fine di colpire i fenomeni economici che si accompagnano ad essi. Però, nella prassi, questa corrispondenza non sempre si realizza.

Quindi sorge l’esigenza di stabilire se il giudice tributario può applicare le norme tributarie a prescindere dalla forma giuridica degli atti, tenendo conto esclusivamente della sostanza economica delle operazioni sottostanti (ad esempio considerare vendita una formale divisione, ecc.).

In alcuni ordinamenti, a tal fine è sancito un principio generale in virtù del quale le norme tributarie devono essere applicate tenendo conto della “sostanza economica” delle fattispecie, e non della loro “forma giuridica”. Ciò determina però dei pregiudizi alla certezza del diritto che ne hanno sempre ostacolato la concreta operatività.

Nel nostro ordinamento non esistono regole generali in tal senso, tuttavia vi sono delle disposizioni che in qualche misura le sostituiscono. In tal caso avremo la ed. riqualificazione degli atti e negozi giuridici solo dal punto di vista fiscale. Infatti, rimangono salvi tutti gli assetti negoziali intercorsi tra le parti. Quindi si tratta di una riqualificazione diretta alla corretta applicazione delle norme tributarie.

Problema del tutto diverso è invece quello della ed. elusione fiscale. Essa sorge quando vi è il ricorso a forme negoziali anormali o atipiche per conseguire vantaggi che diversamente non si potrebbero ottenere. Il fenomeno dell’elusione ha sempre presentato grandi difficoltà sia dal punto di vista concettuale, e sia da quello relativo il contenimento di questo fenomeno con strumenti idonei. Sotto il profilo concettuale, Illusione viene definita come una situazione intermedia tra il lecito risparmio d’imposta (che si ha quando il minor carico tributario viene ottenuto nel pieno rispetto della legge) e l’evasione fiscale (che è invece caratterizzata dalla violazione delle leggi tributarie). L’elemento che caratterizza Illusione fiscale è, appunto, il fatto che le norme tributarie non vengono violate, bensì aggirate.

Sotto il profilo del contenimento del fenomeno elusivo, solitamente si fa ricorso a un duplice ordine di misure normative:

  • L’emanazione di nuove norme appositamente volte a chiudere, di volta in volta, gli spazi che consentivano Illusione;
  • Il riconoscimento, all’Amministrazione finanziaria e al giudice tributario, del potere di disapplicare le norme che hanno permesso Illusione.

Nel nostro ordinamento, la prima via è quella prevalentemente seguita. Inoltre, negli ultimi anni è emersa l’idea di formulare clausole antielusive. Essa si è infine concretizzata con un D.P.R. del 1973, il quale prevede che gli atti, i fatti e i negozi relativi il campo societario sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria, quando sono privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario; e che in tali casi, l’Amministrazione disconosce i vantaggi tributari, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse.

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