Fondamentale nello studio del diritto pubblico è il tema del finanziamento della spesa degli enti locali. Esso investe anche scelte politiche e di valutazioni di principio sui ruoli dello stato e delle autonomie locali nel finanziamento dei servizi dati al cittadino. Dal punto di vista teorico, il finanziamento della spesa locale può ispirarsi a un modello statalista (che accentra nell’amministrazione centrale ogni potere impositivo, trasferendo agli enti locali secondo le loro esigenze finanziarie. In questo modello il tributo è introdotto con legge statale ed è poi applicato da p.a., quindi l’ente locale è un centro di spesa non di finanziamento) ovvero a un modello federale (che da all’ente locale il potere di introdurre/applicare i tributi necessari alla copertura delle spese di funzionamento, trasferendo poi allo stato parte del gettito. L’ente locale quindi introduce/disciplina il tributo che trova applicazione nel territorio amministrato dall’ente stesso). il nostro è un sistema misto: nella prima legislazione unitaria nazionale  (art 116 e ss. l. 2248/1865) si dava un certo grado di autonomia impositiva a Comuni e Provincie. A seguito dell’attribuzione di ulteriori funzioni pubbliche e di nuovi oneri agli enti locali e conseguente necessità di garantirne l’equilibrio finanziario tra entrate e spese, l’autonomia finanziaria locale negli anni ’30, venne ampliata introducendo ulteriori tributi di competenza di Comuni e Provincie. Questo sistema sicuramente dava responsabilità agli amministratori locali nella gestione della spesa pubblica, tuttavia attribuiva potere discrezionali alle autorità locali nella gestione del prelievo tributario, provocando effetti discorsivi derivanti dal possibile uso politico della leva fiscale, specie nella fase dell’accertamento . oltre ciò il sistema delle autonomie locali d’entrata e di spesa provocava differenziazioni economiche dei comuni già sviluppati. Tutto ciò portò alla riforma degli anni ’70: fu eliminato il sistema della fiscalità totale (limitando a pochi tributi lo spazio di manovra per gli enti locali) creando quindi il finanziamento della spesa locale sul principio della finanza derivata che ruotava sul trasferimento da parte dello Stato di quote di tributi erariali agli enti locali. Questo sistema portò alla dilatazione della spesa pubblica, ormai coperta dal finanziamento statale e quindi finanziabile contando prevalentemente sulle risorse statali e non locali. Da ciò discese anche l’aumento dell’indebitamento degli enti locali verso il sistema bancario, che si trovava a finanziare l’incasso dei trasferimenti statali, appesantendo la gestione finanziaria di questi enti. Si era creata una situazione insostenibile : il bilancio statale caricato di una spesa pubblica locale fuori controllo, da qui l’esigenza di rivalutare l’autonomia tributaria degli enti locali, fino a fondarsi programmi politici sulla spinta dell’esigenza di assicurare il cosiddetto “federalismo fiscale”.
Autonomia tributaria degli enti territoriali minori. Nella Costituzione vi è dato spazio: il 5: “la Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”Principio che trovava applicazione nel 128 prima che fosse abrogato con la legge Costituzionale. 3/2001  (“Le provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati dalla Repubblica che ne determina le funzioni). In questa norma però si riconosceva fondamentalmente un’autonomia politico-amministrativa, che però diveniva finanziaria (in quanto questa strumentale alla prima). Questi principi oggi sono espressi in Costituzione   L’autonomia per Provincie, Comuni, Città Metropolitane, si esprime con l’esercizio della potestà regolamentare di tali enti, diretta ad adeguare alle specificità locali un prelievo stabilito con legge (es. il regolamento comunale non disciplinerà gli elementi fondamentali del tributo, ma potrà regolare aspetti di carattere applicativo). Nel corso degli ultimi anni è apparsa più forte l’esigenza di responsabilizzare maggiormente la gestione finanziaria degli enti locali minori restituendo una limitata autonomia tributaria creando alcuni tributi con alto gettito attribuiti al finanziamento della spesa locale. Ad esempio l’introduzione dell’ICI (l.504/1992) è stato primo passo verso il federalismo fiscale, in quanto l’ente locale può fissare l’imposta con la fissazione delle aliquote tra il minimo e il massimo stabiliti.
Regioni. Ex 116 alle Regioni a statuto speciale sono riconosciute forme particolari di autonomia tributaria da esercitarsi nell’ambito degli statuti. Il 119 originario sanciva il principio dell’autonomia finanziaria regionale, da realizzarsi nelle forme e limiti stabiliti da leggi della Repubblica. Questa norma non imponeva una vera autonomia impositiva, ma la si riteneva compresa nel concetto di autonomia finanziaria. Prima della Riforma cos, una dottrina minoritaria riteneva che nel 117 non fosse compresa la materia tributaria, derivando da ciò la mancanza di una base Costituzione di potestà legislativa regionale in materia di tributi. Con la nascita dell’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive) (l.446/1997) si è dato un tributo di pesante gettito e si è prevista l’attribuzione alle regioni dell’attività di attuazione amministrativa del tributo. Dopo la riforma del 2001, il nuovo 117 let. E prevede che lo Stato ha legislazione esclusiva per quanto riguarda “il sistema tributario e contabile dello Stato”. (sistema dei tributi erariali) Le Regioni ex 117 3° hanno una potestà legislativa concorrente in materia di “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. (sistema dei tributi regionali e locali)Lo stato farà quindi la legge cornice, nell’interesse della finanza pubblica e del sistema tributario nel suo complesso Le Regioni hanno una potestà “residuale” in ogni materia non espressamente statale ex 117 4° . Con la riformulazione del 119 , Comuni, Provincie, Città metropolitane, Regioni hanno “autonomia finanziaria di entrata e di spesa”. Questi enti dispongono di risorse autonome, stabiliscono/applicano tributi ed entrate propri “in armonia con Costituzione e secondo principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. All’attuazione di tali principi la l. 42/2009 (federalismo fiscale) ha fissato alcuni principi direttivi a cui deve attenersi la legge tributaria: es. quelli che ribadiscono l’applicabilità di principio capacità contributiva, progressività , coordinamento stato/enti locali nel contrasto all’evasione. Limiti del potere di introdurre tributi regionali. 1) principi Costituzione: la regione non può prevedere tributi che mirano a colpire manifestazioni di capacità contributiva colpite da tributi erariali (divieto di doppia imposizione: richiamo al 53 cos). 2) predeterminazione dello spazio territoriale in cui può operare la legge tributaria regionale; 3) normativa comunitaria. La regione non può introdurre leggi tributarie con precetti contrastanti con gli impegni assunti dallo stato in sede di TUE o con altre fonti comunitarie.  (p 95 caso della Sardegna).