La natura dei responsi del giurista romano è diversa dalle sentenze di common: qui il giurista, sottoposto il caso concreto ovvero i casi simili ad un “processo di astrazione”, arriva alla formulazione di “regole casistiche” che risultano a prima vista simili più alla fattispecie astratta enunciata in una norma che alla “verbalizzazione” di soluzioni concrete.
Bisogna però dire alcune cose. Primariamente, noi non conosciamo l’attività pratica dei giuristi se non attraverso le loro opere scientifiche e anche nella letteratura problematica in cui è più immediatamente percepibile il collegamento con la trattazione dei casi reali, l’esposizione è quasi sempre ridotta all’astrazione d’una soluzione rappresentata per casi-tipo, rapportabile quindi alla decisione di tutti i casi con elementi qualificanti simili. L’argomentazione in genere non si svolge nel confronto esplicito tra fatti caratterizzanti i precedenti casi simili e quelli caratterizzanti il caso specifico, ma mediante semplice indicazione dei fatti selezionati come qualificanti e della questio giuridica che rispetto ad essi si propone e della soluzione spesso non esplicitamente motivata. Il rapporto con le soluzioni precedentemente individuate per casi simili è generalmente limitato alla citazione di altre soluzioni giurisprudenziali (rispetto a cui il giurista si limita ad esprimere assenso o dissenso, senza ulteriormente motivare). Questo tipo di letteratura problematica indica però chiaramente le modalità di utilizzazione razionale delle soluzioni precedentemente individuate, che implicano la formazione di un diritto casistico ossia un diritto la cui soluzione implica sempre l’argomentazione scientifica “caso per caso”. Secondariamente, nella valutazione del diritto giurisprudenziale romano come diritto in cui prevale una logica costruttiva assiomatica, ha indubbiamente avuto peso determinate la “Compilazione giustinianea”, la quale ha consegnato alla scienza giuridica europea un’insieme di enunciazioni staccate dal loro contesto argomentativo originario e ricomposte in un corpus unitario. I casi, proposti nelle opere giurisprudenziali come “tipici” (in quanto in relazione ad essi i giureconsulti avevano individuato modelli di soluzioni, consolidatesi nell’ambito della scientia iuris come le “più giuste” in rapporto a certi elementi ritenuti “qualificanti” del fatto, venivano trasformati in fattispecie astratte, cioè “norme” da “applicare” per risolvere il singolo caso concreto). Per Vacca è questo il motivo per cui è difficile individuare nel processo costruttivo della scientia iuris romana il rapporto tra singola soluzione concreta e precedenti soluzioni su casi analoghi; nasce allora il convincimento in larga parte della dottrina che il diritto giurisprudenziale romano non sia un “case law” e che vi siano grandi differenze tra meccanismi della produzione del diritto nell’esperienza giuridica romana e meccanismi di formazione del common law.