Il sistema delle quaestiones perpetuae trovò piena e definitiva realizzazione per opera di Silla. Ma nelle linee del suo programma di restaurazione oligarchica, il dittatore promosse un’importante serie di provvedimenti intesi alla riconquista del monopolio delle giurie e al potenziamento delle corti di giustizia permanenti a scapito delle assemblee popolari.

Probabilmente nell’82 a.C., con una legge giudiziaria generale, avrò la legge Plauzia e restituì i collegi giudicanti di tutti i tribunali al senato, in precedenza rinnovato aumentandone i membri dell’area dalla quale erano tratti. Con singole leggi, provvede a riorganizzare le quaestiones già esistenti e ad istituirne di nuove, riducendo così in gran parte il potere giudiziario dei comizi.

Egli introdusse altresì una nuova procedura per la scelta dei giurati è detto particolari norme circa il modo di votazione da parte degli stessi. Come lista generale dei giudici fu assunta la lista dei senatori, articolata in 10 decuriae di 60 senatori ciascuna. Tali decurie costituivano la base di partenza per la formazione delle singole giurie. All’inizio dell’anno amministrativo, esse venivano ripartite fra le diverse quaestiones, ad eccezione di alcune decurie che rimanevano nella disponibilità del pretore urbano per le cause di sua competenza.

I collegi giudicanti dei singoli processi erano formati mediante estrazione a sorte di un certo numero di giudici dalla decuria assegnata alla quaestio, e successiva ricusazione dei giudici non graditi compiuta alternativamente dall’accusatore e dall’accusato.

Quanto al modo di votazione, l’accusato, dopo la conclusione del dibattimento, era invitato a dichiarare se preferiva che si votasse in forma segreta o palese; se sceglieva quest’ultimo sistema, i giurati esprimevano il loro voto oralmente secondo una successione stabilita dalla sorte.

La riforma non ebbe l’effetto di eliminare completamente la funzione delle assemblee quali corti di giustizia criminale, ma per la sua ampiezza contribuì in misura notevole a limitarla e ad indebolirla. A ciascuna quaestio fu attribuita la cognizione di un singolo reato o di un gruppo di reati, riuniti sotto un medesimo titolo. La legge indicava con precisione:

  • i termini del crimen di cui la corte era competente a conoscere
  • la procedura da seguire per l’accertamento della responsabilità
  • la pena che doveva essere inflitta al colpevole

La repressione dei reati fu in tal modo assicurata attraverso una serie di tribunali, variamente ordinati, ciascuno dei quali aveva specifica competenza per una data fattispecie criminosa. Si trattava quindi di un fascio di procedure parallele diverse, essendo differenti le corti che dovevano giudicare i vari reati, i presidenti, le modalità di persecuzione.

La presidenza di ciascuna quaestio o inizialmente affidata a un pretore. I pretori furono portati a 8 e destinati tutti alla direzione delle corti ad eccezione di 2, che continuarono ad amministrare la giustizia civile. Poiché le quaestiones istituite da Silla erano solo 6, il provvedimento appariva adeguato. Ma ben presto alcuni tribunali, sovraccarichi di lavoro, dovettero essere sdoppiati o triplicati, e si rese perciò necessario creare altri presidenti.

L’esigenza di un numero supplementare di presidenti fu soddisfatta attraverso la nomina di iudices quaestionum. Questa carica continuò ad esistere anche in età postsilliana, e consentì di assicurare la presidenza di tutti i tribunali ogniqualvolta non si poteva disporre di un numero sufficiente di pretori.

Le quaestiones perpetuae istituite da Silla furono 6, e precisamente quelle:

  1. de repetundis: per le estorsioni magistratuali
  2. de maiestate: per i casi di alto tradimento e di insubordinazione contro gli organi della Repubblica
  3. de ambitu: per la corruzione elettorale
  4. de peculatu: per la sottrazione di denaro pubblico
  5. de sicariis et veneficis: per gli omicidi e altri reati simili
  6. de falsis: per il falso testamentario e nummario (falsità in monete e valori equiparati).

Riguardo alla quaestio de maiestate le fonti che consentono di stabilire che furono ad essa devolute varie specie di attentato alla sovranità del popolo romano e dei suoi organi commesse da magistrati o da promagistrati. Non può dubitarsi che la pena fosse capitale. Lo scopo politico che Silla perseguiva era quello di limitare le prerogative giudiziarie dei tribuni della plebe, frenando la pratica dei processi tribunizi dinanzi al popolo.

A Silla si deve probabilmente l’istituzione della prima quaestio perpetua in materia di ambitus, così come il riordino della quaestio de peculatu.

Tra le corti relative ai reati comuni va in primo luogo ricordata la quaestio de sicariis et veneficis. L’unificazione delle due corti in un unico tribunale fu opera di Silla. Ad esso furono deferiti, colpendoli di pena capitale, non soltanto gli omicidi perpetrati con armi o per mezzo di sostanze venefiche, ma anche altre azioni criminose che pur essendo solo indirettamente suscettibili di cagionare la morte di un uomo, costituivano un pericolo per la pace sociale. La legge di Silla mirava quindi a colpire i membri delle bande armate al servizio delle opposte fazioni che con le loro stragi avevano per lungo tempo turbato la vita di Roma. Probabilmente la competenza della quaestio de sicariis si estendeva anche al parricidio.

Una creazione originale di Silla fu la quaestio de falsis. Ad essa fu devoluta la cognizione di varie ipotesi di falsificazione di testamenti e la contraffazione monetaria. Alla corte fu affidato il compito di perseguire, colpendole con pena capitale, le più gravi e diffuse ipotesi di falsificazione nummaria.

Alla legislazione di Silla risale altresì l’introduzione di una quaestio de iniuriis, per la persecuzione di taluni casi di aggressione aggravata e di violazione di domicilio che erano anteriormente perseguiti attraverso il procedimento privato ordinario. L’autore dell’ingiuria poteva essere accusato solo dal soggetto che l’aveva subita, e la pena pecuniaria prevista era destinata allo stesso accusatore-parte lesa. Si trattava pertanto di un’azione privata esercitata nelle forme di una quaestio. Il tribunale probabilmente non aveva carattere permanente ed il pretore urbano formato a caso per caso un banco di giurati, dinanzi al quale si svolgeva poi il dibattimento sotto la presidenza di un quaesitor appositamente nominato.

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