In questo testo Labeone contrappone aequitas naturalis all’aequitas civilis. Il fondamento della prima è riconosciuto da Labeone nell’azione introdotta dal pretore vs lo schiavo che, manomesso nel testamento, sottrae/danneggia beni ereditari prima dell’adizione dell’eredità da parte dell’erede, quindi prima che sia libero. Il problema qui si poneva per il fatto che l’erede non avrebbe potuto agire vs lo schiavo dato che nel momento di giacenza dell’eredità mancava ex ius civile la legittimazione passiva (dato che in quel momento lo schiavo non aveva un dominus e d’altra parte egli stesso non era ancora libero). Ora, la soluzione cui si riferisce il giurista è già presente nell’ordinamento in quanto introdotta con un editto del pretore in base al suo imperium, che gli consentiva di adiuvare e corrigere il ius civile: in pratica, mancando l’actio del ius civile idonea a tutelare una certa situazione, il pretore interveniva a reprimere con azioni penali dei comportamenti ritenuti gravi e ripugnanti “nel comune sentire sociale”.

L’aequitas naturalis dell’editto non è però vista come contrastante con la logica interna del ius civile (anche se nel commento di Labeone appare come principio non identificabile con ius civile): essa è elemento che risulta atto a realizzare al meglio la ratio generale dell’ordinamento giuridico, andando anche oltre le sue regole preesistenti.

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