La verifica dell’identità di una persona rappresenta un momento fondamentale nel procedimento penale, dal momento che capita frequentemente che ci trovi di fronte ad una persona fisica e non si sappia esattamente se essa corrisponde al soggetto al quale l’inquirente attribuisce il reato.

Sebbene il codice accorpi i due accertamenti, è necessario distinguere tra:

  • l’accertamento dell’identità fisica dell’indagato, possibile soltanto se:
    • le impronte digitali o il DNA sono identiche a quelle dell’imputato;
    • la persona offesa o un testimone oculare riconosce l’indagato (ricognizione);

Sebbene non esista il diritto dell’indagato a non essere identificato, l’imputato può decidere di non collaborare con il pubblico ministero. In tale circostanza, egli viene considerato un oggetto di prova e deve quindi sopportare il compimento degli atti di accertamento. Una volta compiuto l’accertamento dell’identità fisica, ancor quando non sia possibile affermare con certezza l’identità anagrafica, all’autorità procedente non è pregiudicato alcun atto (art. 66 co. 2). La l. n. 155 del 2005 (antiterrorismo) ha introdotto il principio per cui, al fine di facilitare il coordinamento delle indagini, se la persona sottoposta alle indagini o l’imputato viene segnalato all’autorità giudiziaria, anche sotto diverso nome, quale autore di un reato diverso da quello per cui si procede, sono eseguite le comunicazioni all’autorità giudiziaria competente ai fini della applicazione della legge penale (art. 66 bis).

  • l’accertamento della identità anagrafica, che consiste nell’obbligo gravante in capo all’autorità giudiziaria di invitare l’imputato a rendere note le proprie generalità e quant’altro possa contribuire alla sua identificazione, ammonendolo con riguardo alle conseguenze (sanzione penale) cui si espone se rifiuta di farlo o se lo fa falsamente (art. 66 co. 1).
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