Principio del giudice naturale.

Attraverso le norme relative alla competenza può essere data concreta attuazione al principio del giudice naturale, espresso dall’art. 25 della Cost.:

  • solo la legge può disciplinare la materia della competenza giurisdizionale (co. 1);
  • la legge non può a sua volta conferire un potere discrezionale ad altri;
  • dato che il giudice deve essere precostituito, le norme in materia non possono essere retroattive (co. 2);

Il giudice naturale, ossia il giudice che preesiste al legislatore e che questi deve necessariamente riconoscere, è quello che risulta maggiormente idoneo ad accertare il fatto di reato nel rispetto della legge e dei diritti dell’imputato.

In qualsiasi stato e grado del processo possono manifestarsi sia conflitti di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice speciale (art. 28 co. 1) sia conflitti di competenza tra giudici ordinari (co. 2).

Tali conflitti, in particolare, possono essere:

  • positivi, se i giudici reclamano la loro competenza;
  • negativi, se i giudici rifiutano la loro competenza.

Il giudice che rileva un caso di conflitto è obbligato a rimettere una copia degli atti necessari alla sua risoluzione alla Corte di Cassazione (art. 30 co. 1), la quale decide con sentenza in camera di consiglio (art. 32 co. 1).

Imparzialità.

Perché l’imparzialità del giudice sia effettiva, essa deve fondarsi su tre principi:

  • soggezione del giudice alla legge;
  • separazione delle funzioni processuali;
  • strumenti procedimentali che permettano di estromettere il giudice parziale.

La carenza del c.p.p. del 1988 sotto questo profilo ha indotto il riformatore costituzionale ad intervenire inserendo formalmente nell’art. 111 i caratteri della terzietà e dell’imparzialità del giudice. L’imparzialità del giudice, in particolare, può essere definita attraverso due criteri:

  • oggettivo, dato dall’assenza di qualsiasi legame tra il giudice ed una delle parti;
  • soggettivo, dato dall’impregiudicatezza rispetto alla questione da decidere.

Incompatibilità.

L’incompatibilità del giudice può essere definita come l’incapacità dello stesso a svolgere una determinata funzione in relazione ad un certo procedimento.

Le cause di incompatibilità del giudice possono essere ricomprese in tre categorie:

  • le ipotesi nelle quali il giudice abbia esercitato nel medesimo procedimento altre funzioni (es. consulente tecnico) che devono rimanere necessariamente distinte (art. 34 co. 3);
  • le ipotesi nelle quali il giudice, a prescindere dalla sua funzione, sia coniuge, parente o affine di un altro giudice che svolga funzioni in quel procedimento (art. 35);
  • le ipotesi nelle quali il giudice abbia deciso sulla medesima res iudicandain una fase precedente del procedimento (art. 34 co. 1 e 2):
    • abbia pronunciato sentenza in un precedente grado del procedimento;
    • abbia emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare;
    • abbia disposto il giudizio immediato;
    • abbia emesso il decreto penale di condanna;
    • abbia deciso sull’impugnazione avverso sentenza di non luogo a procedere.

Astensione.

Il legislatore ha voluto elencare tutta una serie di ipotesi nelle quali il giudice ha l’obbligo di astenersi (art. 36 co. 1):

a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli;

b) se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private oppure se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge, anche dopo l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (co. 2);

c) se ha dato consigli o manifestato il suo parere in relazione all’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni;

d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private;

e) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato o parte privata, anche dopo l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (co. 2);

f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero;

g) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli artt. 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario;

h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza.

Mentre tutte le altre ipotesi sono comuni anche all’istituto della ricusazione, quest’ultima non può esserlo, per ovvi motivi logici.

La dichiarazione di astensione è presentata al presidente della Corte o del tribunale, che decide con decreto senza formalità di procedura (art. 36 co. 3). Dal momento che tale dichiarazione non può essere accolta automaticamente (co. 4):

  • sulla dichiarazione di astensione del presidente del tribunale decide il presidente della Corte di appello;
  • sulla dichiarazione di astensione del presidente della Corte di appello decide il presidente della Corte di cassazione.

Ricusazione.

Il giudice, come detto, può essere ricusato in tutte le ipotesi previste dall’art. 36, eccezion fatta per quella che fa riferimento alle <<ragioni di convenienza>>. Il giudice può essere ricusato anche qualora, nell’esercizio delle sue funzioni, abbia indebitamente manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, prima della pronuncia della sentenza (art. 37).

Sulla ricusazione di un giudice del tribunale o della Corte di assise o della Corte di assise di appello decide la Corte di appello, mentre su quella di un giudice della Corte di appello decide una sezione della Corte stessa, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato (art. 40 co. 1). Sulla ricusazione di un giudice della Corte di cassazione decide una sezione della Corte stessa, diversa da quella a cui appartiene il giudice ricusato (co. 2). Non è ammessa la ricusazione dei giudici chiamati a decidere sulla ricusazione (co. 3).

La dichiarazione di ricusazione si considera come non proposta qualora il giudice, anche successivamente, dichiari di astenersi e l’astensione sia accolta (art. 39).

Rimessione (del processo).

Accanto alle ipotesi in cui l’incompatibilità investe la figura di un solo magistrato, il legislatore ha voluto prendere in considerazione anche quella nella quale sia pregiudicata l’imparzialità dell’intero ufficio. In questo caso interviene l’istituto della rimessione, che comporta lo spostamento della competenza per territorio ad un altro organo giurisdizionale.

Possiamo individuare tre casi nei quali è prevista la rimessione (art. 45):

  • ipotesi nelle quali sono pregiudicate la sicurezza e l’incolumità pubblica;
  • ipotesi nelle quali risulta pregiudicata la libera determinazione dei giudici popolari;
  • ipotesi in cui sussistano gravi situazioni locali che determinano motivi di legittimo sospetto.

Tale istituto mette in evidenza come il nostro ordinamento non cerchi di perseguire un’imparzialità formale, restringendo le ipotesi di astensione, ricusazione e rimessione ad una tassonomia chiusa. Esso, al contrario, dimostra come il nostro codice utilizzi formule aperte, che conferiscono la possibilità di ricorrere a questi tre istituti anche in tutte quelle circostanze non espressamente previste ma nelle quali si manifesta la necessità di farlo.

La richiesta di rimessione è un atto formale, la cui decisione spetta alla Corte di cassazione. Qualora tale richiesta sia accolta, il processo si trasferisce ad un altro giudice che abbia la medesima competenza per materia e che abbia sede nel capoluogo del distretto di Corte d’appello individuato sulla base dell’art. 11.

La Corte di Cassazione decide in camera di consiglio a norma dell’art. 127 (art. 48 co. 1) e ne da comunicazione sia al giudice procedente sia al giudice nominato (co. 4), il quale provvede alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente alla rimessione, qualora questo sia richiesto da una delle parti e qualora non si tratti di atti di cui è diventata impossibile la ripetizione (co. 5).

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